Pensioni, l’Inps cambia tutto. Così riesce a mangiare un mese di assegno

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Milano 23 Febbraio – Avevate esultato per l’ accredito della pensione (o delle pensioni), il primo giorno del mese? Non vi ci abituate. Dal 1° gennaio 2017 si cambierà, di nuovo. E in peggio. La promessa renziana (il 19 maggio, con il decreto sulle pensioni il governo aveva introdotto una misura per consentire «dal primo di giugno di liquidare tutte le pensioni al primo giorno del mese», gongolava euforico Renzi), rischia di trasformarsi in un boomerang micidiale per 18 milioni di pensionati che da qualche mese hanno visto arrivare ai primi del mese l’ accredito di trattamenti e indennità. Ma dal 1° gennaio del prossimo anno si cambierà nuovamente, e chissà chi ci sarà allora a Palazzo Chigi ad intercettare lamentele e smoccolamenti vari.
Il prossimo anno, infatti, le 21 milioni di pensioni erogate mensilmente dall’ Inps (17,3 milioni di pensioni previdenziali e 3,7 milioni di prestazioni assistenziali), assicurate a oltre 15,8 milioni di beneficiari, non verranno più accreditate il 1° del mese, ma il «secondo giorno bancabile». Beh, 24 ore in più non saranno la morte di nessuno, penseranno i renziani di ferro. Però il ritardo non è poi così marginale. Anzi. A ben guardare la dilazione nei futuri accrediti sarà ben più consistente. A dar retta all’ art. 6 del D.L. 65/2015, si scopre – andando a scorrere il testo fino l’ ultimo capoverso – che: «A decorrere dall’ anno 2017, detti pagamenti sono effettuati il secondo giorno bancabile di ciascun mese».
Secondo giorno bancabile? A spiegare il meccanismo è l’ avvocato civilista – esperto di diritto del lavoro e questioni previdenziali – Massimo Cammarota del foro di Roma: «A differenza di quanto deliberato dal Cda dell’ Inps», chiarisce l’ esperto, «che disponeva che le pensioni siano pagate il primo giorno non festivo del mese, il decreto del governo determina due cambiamenti. Il primo evidentissimo: tra primo e secondo giorno del mese. L’ altra modifica consiste nel cambio da giorno non festivo a bancabile. Così la valuta degli accrediti verrebbe spostata non di un solo giorno, cosa già inaccettabile, ma ciò comporterebbe il raddoppio delle probabilità che uno dei due giorni interessati fosse festivo, con un ulteriore slittamento dei pagamenti».
Cammarota giustifica la decisione con la necessità da parte dell’ Inps di fare cassa. Con la Legge di stabilità l’ Inps si è visto negare dal Parlamento pure i fondi per inviare la Busta arancione (la proiezione della futura pensione) a milioni di aspiranti pensionati. In più, via XX Settembre ha chiesto al presidente, Tito Boeri, di stringere ulteriormente la cinghia, senza però contrarre i servizi. Quindi a qualcuno il conto va pure presentato. Tanto più che prendendo il calendario 2017 si può tranquillamente constatare che lo spostamento al «secondo giorno bancabile» comporterà un ritardo complessivo di ben 29 giorni per l’ intero anno. È come se si fregasse ad ogni singolo pensionato circa un mese di valuta. Non male come scherzetto, se non fosse che con l’ accredito sventolato al 1° del mese, milioni di pensionati – che stanno attenti al centesimo – hanno regolato di conseguenza pagamenti, scadenze e bonifici. Se poi dal gennaio 2017, sui singoli conti non arriveranno i quattrini promessi ci si troverà nella bizzarra situazione di andare in rosso.
Magari per una manciata di giorni, ma comunque in rosso.
Ma perché tutta questa alchimia contabile e bancaria? Forse per racimolare qualche milioncino. Con 15,8 milioni di «clienti» al mese (i pensionati) e miliardi di euro da pagare, basta ritardare di qualche giorno per risparmiare milioni e milioni di interessi.
Quanti? A questo punto ci si avventura nel campo del possibile e del probabile. Gli unici ad avere un conto verosimile sono i “capoccioni” dell’ Attuario dell’ Inps che conoscono i contratti con il sistema bancario e postale di appoggio, gli interessi applicati e i possibili risparmi per giorno di rinvio. Risparmi sulle spalle dei pensionati, però.
A fare due conti – e mantenendosi bassi – si tratta di alcune centinaia di milioni di euro l’ anno. Forse 400. Alla faccia dei gufi. Quelli in pensione.
Antonio Castro (Liberoquotidiano)

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