La linea di Forza Italia per votare il Jobs Act, delineata in quattro punti senza se e senza ma

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Milano 28 Settembre – A differenza del PD, lacerato da un dibattito che ha poco a che vedere con il merito della questione, la nostra posizione sulla riforma del mercato del lavoro è di una chiarezza cristallina. Non parliamo solo del contenuto del nuovo articolo 18, che rappresenta il pomo della discordia.

La nostra adesione alla delega legislativa, che riguarda l’intera riorganizzazione del comparto, è “senza se e senza ma”. Come si ricorderà quello slogan, che fece poi irruzione nel lessico politico, fu coniato per opporsi all’intervento americano in Iraq. Ma già l’anno prima – il 23 marzo 2002 – fece da sfondo alla grande manifestazione sindacale, guidata da Sergio Cofferati, a Roma, proprio per ribadire il “no” della CGIL a qualsiasi ipotesi di riforma. A dimostrazione di come più di un decennio sia passato invano. Senza ripensamenti. Nonostante il dilagare della disoccupazione, a sua volta riflesso della lunga crisi che sta travagliando il Paese.

Proviamo allora a ripetere le motivazioni che ci rafforzano nella nostra posizione, con un solo rimpianto. Se quelle riforme fossero state avviate allora, probabilmente, oggi non saremmo nella situazione attuale. Non avremmo perso circa 10 punti di PIL e dalla crisi del 2007, saremmo fuori avendo recuperato, come avvenuto in quasi tutti gli altri Paesi europei, l’intera flessione. Bisogna partire da qui per cercare di introdurre norme che, al tempo stesso, salvaguardino la parte più debole – il lavoratore – senza peraltro creare un vincolo talmente stringente da scoraggiare completamente la domanda di lavoro, alimentando forme succedanee di precariato. I cardini di questa nuova tutela possono così riassumersi.

1) Forme di discriminazione, che negano in radice i diritti di cittadinanza che rappresentano il cuore di ogni democrazia, non saranno tollerate. Azioni rivolte nel senso indicato non richiederannonemmeno l’istituto della reintegrazione. Sono semplicemente nulle. L’eventuale ricorso al giudice serve solo per certificare questo vizio originario.

2) Dovrà essere previsto un periodo di prova – come già avviene in tutti i contratti – durante il quale si accerti l’idoneità del lavoratore a svolgere l’incarico che gli è stato offerto. E’ evidente che trattandosi di una “prova”, al termine di questo periodo vi sarà un responso. Che può essere positivo, dando luogo all’assunzione o negativo con conseguente conclusione del rapporto. Il fatto che quest’istituto sia previsto anche per i pubblici dipendenti, prima dell’immissione in ruolo, la dice lunga sul reciproco garantismo.

3) Terminato positivamente il periodo di prova, il dipendente sarà assunto a tempo indeterminato. Nell’eventualità in cui, per le ragioni più varie, dovesse avvenire il “divorzio” – non a caso usiamo questa parola che vale per il matrimonio, figuriamoci per qualsiasi rapporto di lavoro – al lavoratore dovrà essere corrisposta un’indennità proporzionale al periodo trascorso nella posizione occupata.

4) Questa forma di indennizzo, unita alla corresponsione di adeguati ammortizzatori sociali per un periodo di tempo determinato, gli consentirà di trovare una nuova occupazione, favorita dal fatto che, nel frattempo, il mercato del lavoro è divenuto più flessibile e che la relativa domanda di occupazione è cresciuta. Al tempo stesso il lavoratore, durante il periodo di vacanza, potrà frequentare corsi di formazione professionale per accrescere il suo skill e quindi non solo trovare più facilmente una nuova occupazione, ma aspirare a qualcosa di migliore rispetto all’esperienza passata.

E’ realistica questa posizione? Il modo di produrre, non solo in Italia, ma nel mondo, è profondamente cambiato. Oggi l’impiego delle nuove tecnologie richiede una partecipazione attiva che si basa su un “sapere” in costante evoluzione. Che non serve solo per ottenere i necessari mezzi di sostentamento, ma fare del lavoro la più potente forza dell’emancipazione sociale. Un’acquisizione teorica, che fu cavallo di battaglia dei pensatori classici di fine ‘800 e del ‘900, che non dobbiamo dimenticare.

Milano Post

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