Milano 30 Settembre – Durante un intervento chirurgico presso la Neurochirurgia dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine è stata fatta una scoperta che potrebbe gettare nuova luce sui meccanismi neurologici che governano il bilinguismo.
I pazienti neurochirurgici vengono sottoposti a chirurgia da svegli quando l’area interessata dalla patologia è vicina alle aree eloquenti. Infatti, per preservare le aree funzionali, in sala operatoria, i neuropsicologi sottopongono una serie di test al paziente, che è sveglio e collaborante. Così facendo, si può creare una mappa delle zone funzionali e preservarle durante la resezione chirurgica. In quest’ambito, il gruppo multidisciplinare composto da Barbara Tomasino dell’IRCCS Medea, due neuropsicologi, un neurochirurgo, una fisica, un neurofisiologo e un neurolinguista, ha individuato in una porzione della corteccia temporale superiore, che già presiede all’elaborazione fonologica, una delle aree implicate nel bilinguismo.
Il fenomeno si chiama involuntary language switching e comporta il passaggio involontario da una lingua all’altra.
Mappatura cerebrale
In particolare nello studio in questione, pubblicato su neuropsychologia, durante un intervento che si è tenuto presso la neurochirurgia dell’ospedale di Udine, una paziente bilingue (prima lingua il serbo, seconda lingua l’ italiano) eseguiva dei compiti linguistici mentre il neurochirurgo eseguiva la mappatura cerebrale mediante stimolazione diretta della corteccia. Gli operatori hanno osservato che quando il chirurgo stimolava una porzione della corteccia temporale superiore la paziente, mentre contava in italiano, cambiava involontariamente lingua e proseguiva contando nella sua lingua nativa, il serbo. Le stimolazioni di altre porzioni della corteccia cerebrale non causavano tale fenomeno, ma l’arresto del linguaggio per alcuni secondi (speech arrest). «C’è però da precisare – spiega la dottoressa Barbara Tomasino – che la paziente cambiava lingua quando si trattava di elencare una numerazione o comunque un discorso automatico. Tutto ciò, quindi, richiede nuovi studi». Dopo la casualità della scoperta sono state identificate le coordinate spaziali del punto che, se stimolato, produceva il cambio di lingua: l’analisi ha mostrato che quel punto si situava in un’area che nell’esame di risonanza magnetica funzionale pre-chirurgico veniva attivata per entrambe le lingue. Questa area, che viene chiamata Stp (Sylvian parietal temporal area) ed ha un ruolo nell’elaborazione fonologica, è implicata nel meccanismo che controlla la produzione del linguaggio. In particolare, il fenomeno del language switching osservato si può spiegare come un’interferenza generata dalla stimolazione corticale sul meccanismo che controlla la produzione dei suoni del linguaggio. «La stimolazione dell’area Stp ha causato interferenza con il sistema di controllo per la seconda lingua, lasciando intatto il sistema di controllo per la prima lingua – spiega la Tomasino – Per tale motivo la paziente sotto stimolazione tornava alla sua lingua nativa. Mentre i movimenti articolatori necessari alla produzione dei suoni nel linguaggio nativo sono automatici, quelli coinvolti nella produzione della lingua acquisita non lo sono e necessitano di maggiore controllo e maggiore attività cerebrale nelle aree uditive e fonologiche».
Edoardo Stucchi (Corriere Salute)
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