Milano 13 Ottobre – Dicono che non sia difficile abituarsi al «fuso orario» dell’Ortomercato. E, in effetti, osservando le migliaia di persone che sin dalle 3 del mattino animano i padiglioni che guardano via Varsavia, viene da pensare che svegliarsi nel cuore della notte per andare al lavoro sia solo una questione di organizzazione del tempo. Ciò che appare assai meno semplice da concepire — man mano che scorrono le ore tra casse di meloni col sigillo rosso di ceralacca, partite di fichi d’india, pallet di zucche e broccoli dai colori sorprendenti — è quale istinto si debba sviluppare per sopravvivere al micidiale traffico di muletti, carrelli e veicoli d’ogni sorta che sfiorano costantemente gambe, teste, corpi, merce, biciclette e altri mezzi d’opera. Una gimkana da esaurimento nervoso per chi, appunto, «non è abituato».
«Cade a pezzi»
Loro, invece, gli operatori del più grande mercato ortofrutticolo d’Italia, che non molti anni fa era anche il primo in Europa, soffrono ogni mattina nel vedere il proprio lavoro diventare più difficile, più costoso e meno redditizio non soltanto per «colpa della crisi», ma anche perché la struttura che dovrebbe rappresentare un punto di forza si sta trasformando in una palla al piede. «Cade a pezzi», spiega Gian Luca Andreone, giovane grossista dello stand C-129, mentre indica frammenti di calcinacci caduti dal soffitto di un padiglione. «Al pomeriggio gli operai vanno in giro con un martelletto per controllare in quali punti la volta sta per staccarsi e crollare». La conferma del pericolo sono le reti sopra le nostre teste, che evitano che pezzi troppo grossi possano precipitare addosso a qualcuno. Mail problema più grave lo spiega Matteo Meda, quarta generazione di una famiglia che sta per celebrare il centenario di attività nell’ortofrutta: «Non possiamo continuare senza una piattaforma logistica per il carico e scarico, ce l’hanno tutti i mercati d’Italia e d’Europa tranne Milano». E infatti eccole qui, le laboriosissime manovre per sistemare le casse di frutta sue giù dai camion: da terra, un muletto porta giù i primi colli, poi issa sul cassone del Tir un transpallet (cioè un altro carrello elevatore, più piccolo e manovrabile) che sposta il resto del carico verso il muletto. Un su e giù che tiene occupate due persone e due mezzi (un muletto costa 30 mila euro, un transpallet 4 mila) per una buona mezz’ora. Dopodiché la merce resta lì, all’aperto, in attesa che i compratori facciano la loro scelta, per poi essere spostata nel retro degli stand e da lì trasportata fino al posteggio dei camion o furgoncini dei clienti.
Dal 1965
Una procedura barocca, identica dal 1965, anno di fondazione dell’Ortomercato di via Lombroso. Da anni i grossisti chiedono il rinnovamento delle strutture, con una piattaforma logistica e padiglioni in cui sia garantita la catena del freddo, per evitare che prodotti deperibili per antonomasia siano esposti al meteo. «Guardi che bei finocchi — dice con tono enfatico Matteo Meda — infatti, come può notare, un bollino adesivo con il codice Qr per la tracciabilità, che messo di fronte a un lettore ottico permette di ricostruire tutta la storia del prodotto. Una garanzia per il consumatore. Però…», allarga le braccia, «… ecco dove sono costretto a lasciare queste casse: qui, all’aria aperta, con gli scarichi dei tir a cinquanta metri».
Certificazioni
Un problema che riguarda tutti, anche i grossisti che trattano frutta e verdura della migliore qualità, destinata a ristoranti di lusso e a fruttivendoli con i prezzi da gioiellieri. «Perdiamo tutte le certificazioni di qualità dell’Unione europea — commenta amaro il presidente dell’Associazione grossisti, Fausto Vasta — ma sosteniamo costi sempre più pesanti, per lavorare in condizioni difficili e assistiamo alla costante riduzione del volume di affari qui all’Ortomercato». La soluzione? Basta spostarsi di trecento metri per vederla: una piattaforma logistica a temperatura controllata. Esiste già proprio dentro i cancelli di via Lombroso. Però è una struttura privata: si chiama Ortolog, società che, «affitta il freddo». I camion arrivano, a qualsiasi ora senza dover attendere in coda, si appoggiano alle ribalte costruite proprio ad altezza tir, vengono scaricati in pochi minuti da un solo muletto e la merce si trova sempre alla temperatura giusta. Fa freddo, infatti, qui dentro, meglio sbrigarsi a uscire.
Gianpiero Rossi (Corriere Cronaca)
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