Racconto di Natale: E così….sia

Le storie di Nene

Milano 25 Dicembre – La chiesa straripava di gente: era la messa di mezzanotte a Natale, nel 1952, dopo l’alluvione del Po, in un paesino della bassa padana, in provincia di Parma.

L’angoscia era passata, ma aveva lasciato in tutti un fremito di paura e di incertezza. Negli occhi ancora quella montagna d’acqua, violenta, rabbiosa, a cancellare tutto: casa, cose, affetti, a volte la ragione stessa della vita.

Ma la gente emiliana ha le mani ruvide di terra e il cuore aperto e generoso. Finalmente, tutto poteva essere proiettato nel futuro.

Le persone, nella penombra, aspettavano parole di speranza.

Mia madre, la maestra del paese, aveva scritto una lunga preghiera accorata  da recitare in chiesa. Mi insegnò, ogni giorno per una settimana, il modo e i tempi e i gesti, per declamarla nel modo migliore, ma io ero testarda e un po’ ribelle e decisi di recitarla  a modo mio.

Fiera, con il cappotto rosso e una cuffietta di lana bianca, aspettavo il momento. Accanto a me Leonardo tossiva cercando di non disturbare.Tutti sapevano che aveva pochi mesi di vita per una grave malattia alla milza. Era un bambino felice, quella sera. Il suo presepe aveva vinto il primo premio ed era il più bel presepe che in paese si fosse mai visto. Il padre, falegname, aveva pazientemente intagliato e dipinto casette, pastori e angeli. C’era anche un ruscello d’acqua vera e le stradine erano piene di sassolini bianchi e una cometa splendeva sulla grotta, in quel presepe d’amore. Ma il padre aveva anche scolpito dei burattini di legno perché tutti i bambini avessero in regalo un giocatolo  nel giorno di Natale. Magda viveva provvisoriamente in casa nostra. Aspettava che una zia da Torino venisse a prenderla, dopo la morte dei genitori. Mi stringeva sempre la mano per paura  di un abbandono. Angelica aveva portato in chiesa un vaso gigante di ciclamini, un trionfo di viola e di speranza.

Di quella preghiera ricordo alcuni passaggi e l’orgogliosa consapevolezza di essere testimone di un evento, espressione di fragilità nascoste e silenziose.

 “Sale al cielo la luce di Natale. Nascono nuovi fiori nella parola del Dio Bambino”. (La mia voce era sommessa, scandita, chiara).

“Ha condiviso il freddo con chi non ha un tetto, per essere amore con chi continua a vivere solo, senza il padre, senza la madre. E’ Natale per tutti, per chi crede e chi non crede, per chi non spera e non sa più amare”.

(Le pause erano lunghe meditate, perché tutti avessero il tempo di arginare la commozione. Davanti a me Luca, con i capelli rossi: il papà fornaio aveva perso tutto, casa, negozio, farina; Margherita, un cappotto smisurato, aveva occhi azzurri curiosi:  il papà faceva il contadino ad ore nella cascina più grande e più danneggiata del paese.  Serena, con un bel fiocco rosso in testa, era figlia del droghiere che vendeva ormai facendo credito a tutti,  nell’attesa di tempi migliori.  Mariella, viso sensibile e dolce, era sempre sorridente, il padre era proprietario di un caseificio e aveva subito pochi danni, aveva, quindi, messo a disposizione tagli di formaggio per tutte le famiglie.

Il Po aveva divorato in una notte case, bestiame, frutteti, la ragione stessa di vita per tante famiglie..

Luca, Margherita, Serena, Mariella, Maria Teresa, Lucia, Giuseppe e Marco formavano il piccolo coro del paese e mai, come in quella notte, il loro canto fu magia, emozione, sentimento.  Un canto che s’aggrappava al cuore)

“Donaci a primavera il sole e il bel tempo, un raccolto abbondante, un’estate con tante ciliegie e un autunno ricco di promesse. E’ Natale. Siamo tutti qui, anche per dirti “grazie” per quel poco che abbiamo ancora. Insegnaci ad avere la forza e la costanza per tornare alla vita di tutti i giorni, insegnaci ad aprire ancora il cuore alla vita. E’ Natale, caro Gesù Bambino, regala a ciascuno di noi un sorriso, un sorriso e una carezza che sia di speranza”

(Nell’aria vibrava l’attesa, quasi che Dio potesse dare un segno. L’odore dell’incenso era acuto e penetrante. Gli occhi socchiusi, qualcuno ripeteva la preghiera in modo sommesso.

Chinai il capo, mi inginocchiai, congiunsi le mani).

E così…… (una lunga pausa, quasi un atto di fede) …..sia”.

Fu un sussurro e un pianto muto e collettivo rispose alla speranza.

Anche mia madre pianse e osservò: “I bambini sanno guardare con l’intelligenza del cuore”.

Tratto da “I Racconti di Natale” di Nene Ferrandi