CARO PISAPIA, …MA VÀ A CIAPÀ I RATT

Milano

Milano 24 Gennaio – Ma sì, caro Pisapia, ho pensato di farle un regalo: una bella maglietta con la scritta in perfetto  meneghino “Ma và a ciapà i ratt”. Un pensiero gentile per dirle che fare il Sindaco non è il suo mestiere, per dirle con un sorriso amaro che la milanesità, con lei è morta e sepolta. Comprerò la t-shirt all’info point in Galleria, unico luogo, in tutta Milano, dove un cicinin della Milano vera si può trovare. Peccato sia stato utilizzato, quel cicinin, per decorare magliette. Perché, in vista dell’Expo, avrei preteso che l’essere milanese venisse evidenziato con l’orgoglio di appartenere ad una città bella, imponente e austera nella sua architettura, umana e generosa, con antiche e consolidate tradizioni, ispiratrice di poeti, scrittori, musicisti  e pittori, attraversata da movimenti culturali  e patriottici che hanno fatto la Storia, capace di precorrere la politica nazionale, motore dell’economia del Paese. Ma l’orgoglio della milanesità significa anche “fare squadra” con i cittadini, ascoltarli, superare i disservizi, anteporre il benessere dei residenti. Parole prive di senso nell’ottica del suo fare il Sindaco. Eppure il milanese è laborioso, collaborativo, attento alle necessità del quartiere. Ma se per l’amministrazione della città contano solo la Galeria e zone limitrofe, l’abitante delle periferie si sente di serie B, si arrabbia, contesta. Eppure poteva essere l’occasione giusta per fare di Milano un giardino pulito, ordinato, con il decoro che le compete: le strade sistemate, i parchi curati, le facciate delle case Dei-delitti-e-delle-peneripulite dai graffiti, la sicurezza ripristinata là dove il degrado ambientale ha fatto proliferare la criminalità. Un’occasione persa. Per incapacità di tessere una strategia, per una mancanza di sensibilità umana, per interessi elettoralistici. E avrei immaginato, nel mio libro dei sogni, un programma di eventi che illustrasse l’eccellenza dei “grandi” chegadda sono nati a Milano. Non solo Manzoni o la Merini, ma anche Carlo Porta e Giovanni Ambrogio Biffi che scrive del dialetto milanese “Al è el più pur e più bel e el miò che se possa trouvà” – e siamo nel 1600. E ancora Cesare Beccaria, Carlo Emilio Gadda con i suoi racconti sarcastici dell’Adalgisa, ambientati in una Milano inizio 900. Vecchia Milano con il sapore romantico dei vicoli nascosti, dei Navigli, delle case a tre piani, dell’arrotino che grida all’angolo della strada Ferrari_Arturo_Nella_vecchia_via_o_Via_San_Bernardino_in_Milano“ghe chi el muleta”

Vecchia Milano dipinta da Gian Arturo Ferrari, Mosè Bianchi, Arturo Vergnani, con la tenerezza che si deve all’amore per la propria città, con i toni caldi e a volte sfumati da quella nebbia che è anche nostalgia. Senza dimenticare le incisioni di Federica Galli così vive, così reali, quasi che il tratteggio nero dei paesaggi possa essere colore.galli

Ecco, ho sognato, caro Sindaco, iniziative nelle biblioteche, mostre nelle gallerie per ricordare questi grandi milanesi durante l’Expo. Un grande silenzio è la sua risposta. Mi viene un dubbio: ma lei conosce la storia artistica di Milano?

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