Milano 30 Aprile – L’assist che non ti aspetti. Direttamente dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. I giudici di Strasburgo, con la sentenza Muršić del 12 marzo scorso, spazzano via anni di battaglie a tutela dei diritti dei detenuti, mettendo una pietra tombale sul rimedio risarcitorio ex art. 35 ter dell’Ordinamento Penitenziario.
Per l’Italia, con un sistema carcerario pessimo e sovraffollato, da sempre in cima a tutte le classifiche negative dei paesi Ocse, è la manna dal cielo. Da togliere il fiato al ministro Andrea Orlando che ad oggi, infatti, si ben guardato da commentare il “regalo” della Cedu, senza il quale il nostro Paese avrebbe rischiato di pagare anche per quest’anno milioni di euro di risarcimenti per trattamenti degradanti.
Ma facciamo un passo indietro.
Nel dicembre del 2012, il detenuto croato Kristijan Muršić presentò ricorso alla Corte di Strasburgo lamentando scarse condizioni detentive per mancanza di spazio e di opportunità di lavoro.
Muršić accusava il governo croato di averlo ristretto per undici mesi insieme ad altri sette detenuti in una cella, sporca e scarsamente accessoriata, di 18 mq incluso il bagno e di non aver potuto svolgere attività lavorativa ed in generale attività ricreative e di studio.
Ma, a differenza della storica sentenza Torreggiani, che è richiamata tra la giurisprudenza, questa volta i giudici di Strasburgo capovolgendo i principi di distribuzione dell’onere della prova adottati in passato, hanno posto a fondamento della loro decisione le informazioni fornite dal Governo croato, non ritenendo credibili, perché non provate, le denunce di Muršić di scarsa igiene, cattiva alimentazione e mancanza di attività ricreative ed educative.
Il Governo croato aveva sostenuto che Muršić, nelle celle dove era stato detenuto, aveva avuto a disposizione il “bagno separato, una adeguata ventilazione, aria e luce naturale nonché riscaldamento e acqua potabile”. E che “per tre ore al giorno aveva potuto uscire dalla cella e, in aggiunta, aveva potuto usufruire della palestra, di un campo di basket e di badminton, del ping-pong ed aveva potuto prendere in prestito libri dalla biblioteca, guardare TV e DVD”.
Muršić, secondo il Governo croato, “aveva avuto a disposizione un letto singolo e le suppellettili (tavoli, letti e servizi igienici) che non gli avevano impedito di muoversi liberamente all’interno della cella, pur se talvolta, in effetti, aveva auto a disposizione uno spazio inferiore ai 3 mq”. Il limite stabilito in precedenza per far scattare il risarcimento per trattamento detentivo inumano e degradante.
Giustificazioni sufficienti per la Corte, per la quale Muršić anche se si è trovato in condizioni non adeguate, “ciò è avvenuto per brevi periodi non consecutivi e anche nel periodo più consistente di 27 giorni consecutivi ha avuto comunque una sufficiente possibilità di movimento fuori della cella”.
I giudici di Strasburgo, in questo caso, si sono rifiutati di determinare quanti metri quadrati debba avere a disposizione un detenuto perché altri fattori assumono rilievo (la durata della detenzione, la possibilità di fare esercizio fuori dalla cella, le condizioni fisiche e mentali del detenuto), considerando sufficienti “tre ore al giorno fuori dalla camera di pernottamento, sebbene in aggiunta ad altre circostanze”.
Questo passaggio è, dunque, un elemento di novità rispetto alla giurisprudenza precedente della stessa Corte in cui il parametro era stato molto più esigenze. Nel richiamare, come detto la propria giurisprudenza, la stessa Corte ha ricordato che in alcuni casi (tra cui, appunto, il caso Torreggiani c. Italia) in cui il detenuto aveva a disposizione meno di tre metri quadrati di superficie, la condizione di sovraffollamento è stata considerata così grave da giustificare di per sé una valutazione di violazione dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali .
La libertà di movimento, l’accesso alla luce naturale e all’aria, il tempo trascorso fuori dalla cella, la disponibilità di ventilazione, di adeguatezza dei mezzi di riscaldamento, la possibilità di utilizzare la toilette in privato, e il rispetto sanitario di base oltre ai requisiti igienici hanno, nel caso Muršić rappresentato una compensazione sufficiente alla detenzione in spazio insufficiente.
Considerando che la palla al piede non è più prevista dal Settecento e che anche nelle carceri più disastrate d’Italia l’ora d’aria e la doccia gelata viene concessa, possiamo stare tranquilli. I diritti umani dei detenuti italici, anche se stipati come polli in batteria, sono rispettati. Così disposto dalla Cedu.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.