Milano 4 Maggio – Yasser Arafat, nome di battaglia Abu Ammar, nome reale Mohammed Abd al-Rahman Abd al-Raouf Arafat, è una delle massime icone della sinistra, seppur insignito del premio Nobel per la pace, è stato un uomo politico egiziano le cui gesta, con la pace (se non quella eterna) non hanno nulla a che fare. Arafat, osannato come uomo di pace e del dialogo nella realtà è stato uno dei più sanguinari terroristi islamici del XX secolo, responsabile direttamente, quanto indirettamente, di numerosi stragi contro cristiani, israeliani e talvolta addirittura contro quel popolo che lui diceva di rappresentare: i palestinesi.
Sosteneva di essere palestinese, di sostenere il popolo palestinese ma nella realtà, considerato che la Palestina non è mai esistita come paese e nessun leader palestinese è nato in Palestina, anche lui non è da meno. Yasser Arafat, infatti, nasce a Il Cairo il 4 Agosto 1929 da genitori che vivevano a Gerusalemme, discendente della famiglia Husseini di cui la storia ricorda il famoso Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husseini, zio di Arafat e, durante la II Guerra Mondiale, il più fedele alleato di Hitler.
Yasser Arafat, trascorre la sua infanzia in Egitto, poi, dopo la morte della madre, viene affidato alle cure di uno zio a Gerusalemme, dove, già da adolescente, entra a far parte di un gruppo armato che si opponeva alla costituzione di una Stato Ebraico. Divenuto maggiorenne, torna al Il Cairo per frequentare l’università, facoltà di ingegneria civile, e aderisce alla movimento politico-terrorista dei Fratelli Musulmani. Consegue la laurea nel 1956 e allo scoppio della guerra del Sinai, è sottotenente dell’esercito egiziano.
Ormai facente parte del gruppo di leader del nascente movimento palestinese è un personaggio scomodo e per evitare l’arresto abbandona l’Egitto per il Kuwait dove, nel 1959 fonda, con altri importanti componenti delle fazioni terroristiche “al-Fatah”. L’organizzazione riesce a convogliare nelle sue fila centinaia di giovani arabi e a creare un movimento consistente ed incisivo. Dopo la sconfitta del mondo arabo nella guerra dei Sei Giorni, nel 1967, al-Fatah converge nell’OLP, “Organizzazione per la Liberazione della Palestina” di cui diverrà, nel febbraio 1969, presidente del Comitato Esecutivo del Consiglio Nazionale della Palestina e nel 1973 diventa comandante in capo dei gruppi armati palestinesi.
Nel luglio 1974 Arafat decide una svolta importante dell’OLP, rivendicando per il popolo palestinese il diritto all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato palestinese e nel novembre dello stesso anno, in uno storico discorso all’Assemblea dell’ONU, Arafat chiede una soluzione pacifica, politica, per la Palestina, ammettendo implicitamente l’esistenza di Israele.
Nel frattempo, se al mondo si presenta come una colomba, dietro le quinte mostra la sua vera natura sanguinaria appoggiando le azioni terroristiche delle varie fazioni terroristiche palestinesi ai danni di civili israeliani e, in Libano, ai danni della comunità cristiana.
Stabilitosi a Beirut, organizza, poco prima di trasferire la sede dell’OLP a Tunisi, l’attentato a neo eletto Presidente della Repubblica libanese, il cristiano Bashir Gemayel, che morirà in un attentato avvenuto il 14 Settembre 1982 insieme a 25 suoi sostenitori.
Ma Arafat non è solo responsabile, indiretto, di quell’attentato: le stragi ai danni dei cristiani libanesi sono innumerevoli, sempre ovviamente nascoste dai media occidentali e soprattutto dalla prostituzione giornalistica di sinistra.
E allora gettiamo luce su quei morti che la sinistra antisemita e venduta agli arabi nasconde per non far vedere il vero volto di Arafat: una vera colomba della morte.
I palestinesi di Arafat in Libano hanno assassinato più o meno 40.000 civili .
La barbarie perpetrata a Sabra e Shatila dai falangisti libanesi è stata un atto di atroce vendetta, di cui Arafat è responsabile morale per aver incitato il suo “popolo” a giustiziare in nome di Allah quei libanesi rei di essere cristiani, e contro la stessa identica barbarie dei palestinesi contro i civili cristiani di quel paese.
40.000 civili assassinati negli anni in cui Arafat, con le sue bande di fedayin, occupava il Libano creando una tremenda guerra civile dopo essere stati coinvolti in un’altra guerra civile in Giordania dove Arafat aveva tentato di prendere il potere detronizzando re Hussein. I palestinesi sopravvissuti alla vendetta del re di Giordania (Settembre Nero con più di 10.000 morti) , entrarono nel confinante Libano (altri purtroppo anche in Giudea e Samaria) dove si espansero con una violenza spaventosa come testimoniano vari massacri compiuti ai danni delle popolazioni cristiane.
Dal 1975 I palestinesi ammontavano a più di 300.000, crearono uno Stato nello Stato in Sud-Libano, dove era predominante la minoranza islamica sciita. Pretendevano tasse che riscuotevano puntualmente e chi non pagava era morto prima di poter chiedere pietà.
L’OLP divenne una forza potente e svolse un ruolo decisivo nella guerra civile libanese scoppiata per lo sconvolgimento provocato (specialmente nel meridione libanese sciita e contadino) dai profughi palestinesi, presenti in gran numero anche a Beirut, dove i miliziani usavano girare armati.
Erano diventati i padroni del Libano, un tempo considerato la Svizzera del Medio Oriente, hanno distrutto il paese, hanno scorazzato in lungo e in largo ammazzando, stuprando, facendo la gente a pezzi, bambini compresi.
Tra i tanti massacri compiuti dai palestinesi, uno è diventato famoso, il massacro di Damour, la Madre di tutti i massacri palestinesi in Libano. Ma nessuno commemora quel massacro, nessuno lo ricorda ma tutti le invertebrate prostitute creature di sinistra lo hanno sempre nascosto e non hanno mai osato parlarne: un po’ come avviene con le foibe.
Il 9 di gennaio 1976, il parroco di Damour, Don Mansour Labaky, stava praticando il rito maronita della benedizione delle case quando udì delle raffiche di mitra. Si rifugiò all’interno di un’abitazione e apprese presto che la città era stata presa d’assedio. Poco dopo seppe che si trattava delle truppe di Sa’iqa (terroristi dell’OLP affiliati alla Siria): 16.000 terroristi tra palestinesi, siriani, unità di Mourabitoun, rafforzati da mercenari provenienti dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Pakistan e dalla Libia. Il prete chiamò subito lo sceicco mussulmano del distretto chiedendo il suo aiuto ma questi gli rispose: “Non ci posso fare nulla, vogliono distruggervi. Sono i palestinesi. Non posso fermarli”.
Don Labaky non si arrese, chiamo tutti ii politici della zona fino a quando un parlamentare druso, Kamal Giumblat, il quale, dopo aver fornito al sacerdote il numero telefonico dell’ufficio di Arafat disse a chiare lettere: “Padre, non ci posso fare nulla, perché tutto dipende da Yassir Arafat” .
Il parroco di Damour quindi cercò di contattare il capo dell’OLP ma non riuscì a parlare personalmente con lui, solo con un suo assistente che promise che le ostilità sarebbero terminate.
Trascorse parecchie ore l’orrore invece non era ancora terminato, anzi, al contrario, era iniziata la strage. Al calar della notte vennero tagliate le linee telefoniche, l’acqua e l’elettricità.
La prima ondata d’invasione avvenne poco dopo la mezzanotte: gli uomini di Arafat assalirono le case e massacrarono quella notte una cinquantina di civili. Don Labaky udì le grida e scese nella strada. Donne in camicie da notte stavano correndo verso di lui strappandosi i capelli e urlando “Ci stanno massacrando!” I sopravissuti, evacuando quella parte della città, si rifugiarono nella chiesa più vicina, all’alba, gli invasori avevano già preso il quartiere. Don Labaky descrisse l’accaduto con queste parole:“La mattina uscii dalla chiesa, nonostante i colpi di mortaio, per raggiungere l’unica casa non occupata per recuperare i cadaveri. E mi ricordo qualcosa che ancora mi fa rabbrividire: un’intera famiglia, la Famiglia Can’an, quattro bambini tutti morti insieme alla madre il padre e il nonno. La madre stava ancora abbracciando uno dei bambini. Era incinta. Gli occhi dei bambini erano stati cavati e i loro arti amputati. Erano senza gambe e senza braccia. Li abbiamo portati via con un carretto. E chi m’aiutava a portare via i cadaveri? L’unico sopravissuto, lo zio dei bimbi. Si chiamava Samir Can’an. Egli portava con me i resti di suo fratello, di suo padre, di sua cognata e dei poveri bambini.
Li abbiamo sepolti nel cimitero, sotto i colpi di mortaio dell’OLP. E mentre liseppellivamo, trovammo altri corpi ancora nelle strade”.
La città cominciava a difendersi. Duecentoventicinque giovani, quasi tutti adolescenti, armati di fucili da caccia e senza addestramento militare, resistettero per dodici giorni. La popolazione si nascose nelle cantine con sacchi di sabbia davanti alle porte e alle finestre dei pianterreni. Don Labaky fece spola tra nascondiglio e nascondiglio per visitare le famiglie e portare loro latte e pane. Spesso incoraggiò i giovani a difendere la città. L’assedio senza sosta alla città causò gravi danni. Dal 9 di gennaio 1976, i palestinesi avevano tagliato l’acqua e qualsiasi rifornimento di viveri e rifiutavano alla Croce Rossa di evacuare i feriti. Neonati e bambini morirono di disidratazione. Solo tre altri cittadini caddero sotto il fuoco dell’OLP tra il primo e l’ultimo giorno dell’assedio che terminò il 23 gennaio del 1976. Però, quel giorno, quando avvenne il massacro finale, centinaia di cristiani furono ammazzati” Eccone sempre la testimonianza di Don Labaky.
“L’attacco cominciò dalle montagne. Era un’apocalisse. Vennero in migliaia, urlando a squarciagola “Allahu akbar! Attacchiamoli in nome degli arabi, offriamo un olocausto a Maometto”. E massacrarono chiunque incontrassero sul loro cammino, uomini, donne e bambini. Intere famiglie sono state uccise nelle loro case. Molte donne furono violentate in gruppo, alcune di loro furono lasciate vive. Mentre le atrocità continuavano, i terroristi palestinesi si scattavano delle foto e le offrirono, più tardi, per soldi ai giornali europei”.
Alcuni sopravissuti testimoniarono l’accaduto. Una ragazza sedicenne, Soumaya Ghanimeh, testimoniò la fucilazione del padre e del fratello da parte di due degli invasori, e vide la propria casa, assieme alle case dei vicini, saccheggiata e bruciata. Ella disse: “Quando mi stavano portando in strada, tutte le case intorno a me stavano bruciando. Di fronte alle case erano parcheggiati dieci camion nei quali erano stipati i bottini. Mi ricordo quanto ero spaventata dal fuoco. Stavo urlando. E per molti mesi non riuscii a sopportare che qualcuno accendesse un fiammifero accanto a me. Non ne sopportavo il puzzo”
Alcuni abitanti della cittadina vennero risparmiati, radunati con altri nelle strade e caricati sui camion che li portarono al campo palestinese di Sabra a Beirut, ove vennero imprigionati in una prigione sovraffollata.
Quando Don Labaky trovò i corpi carbonizzati del padre e del fratello a casa di Soumaya Ghanimeh non poteva neppure distinguerne il sesso. Nella frenesia di voler, a tutti costi, infliggere il massimo dell’umiliazione alle loro vittime, come se neppure i limiti assoluti della natura umana potevano fermarli, gli invasori devastarono le tombe e sparsero le ossa dei defunti nelle strade. In tutto, 582 persone morirono assassinate nell’assalto a Damour. Don Labaky tornò con la Croce Rossa per seppellirli. Molti dei cadaveri erano stati smembrati e dovettero contare le teste per stabilire il numero delle vittime. Le vittime di sesso maschile furono trovati con i loro genitali amputati e messili nel cavo orale, pratica musulmana d’umiliazione postmortem assai nota e praticata.
Ma l’orrore non finì lì, anche il vecchio cimitero cristiano venne profanato, le bare aperte, i morti spogliati dei loro vestiti, le cassette delle elemosina saccheggiate, e le ossa e gli scheletri sparsi sul terreno. Damour fu trasformata in un baluardo di Al-Fatah e del PFLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina). Le rovine di Damour divennero uno dei maggiori centri dell’OLP per la promozione del terrorismo internazionale.
Questo è solo un breve racconto di quello che avvenne in quel villaggio ed è solo una delle stragi di cui Arafat è responsabile, il mandante, l’esecutore morale.
Ma Yasser Arafat non è stato solo un terrorista, è stato anche un abile “uomo d’affari”: una volta preso il potere dell’Autorità Nazionale Palestinese, il suo patrimonio personale “lievita” fino a circa 1.3 miliardi di dollari, per la rivista Forbes lo classifica al sesto posto nella lista di “Re, regine o despoti” nel mondo, stimando il suo patrimonio personale attorno a circa 300 milioni di dollari. Nel 2003 il Fondo Monetario Internazionale apre un’inchiesta su di lui, per aver spostato 900 milioni di dollari di fondi pubblici, versati anche dall’UE, su conti correnti privati. Nel 2001, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, Yasser Arafat prende le parti di Al-Qaeda e la popolazione da lui rappresentata festeggia gli attentati alle Twin Towers in modo improvvisato ma spontaneo nelle strade di Gaza e Ramallah. Yasser Arafat muore a Parigi per cause naturali, probabilmente AIDS, l’11 Novembre 2004.
Ecco questo è solo un breve resoconto di questa icona della sinistra, un brevissimo resoconto di ciò che questo terrorista sanguinario è stato capace di fare, e solo un mentecatto, solo un politico (Mogherini docet) venduto e formato nelle drogate scuole della sinistra può andar fiero di avergli stretto la mano: una mano grondante di sangue innocente.
Impiegato presso una nota multinazionale americana, ha avuto varie esperienze di dirigenza sia in campo professionale che in campo politico.
Scrive per Milanopost ed altre testate, soffermandosi soprattutto su Israele, Medio Oriente, Africa sahariana e subsahariana. Giornalista Freelance scrive più per passione che per professione.