Milano 29 Maggio – Un ampio respiro di prospettiva e di intelligenza, quello di Berlusconi, un respiro sincopato e furbastro quello di Renzi: questa la sintesi delle due lunghe interviste trasmesse nella trasmissione Virus ieri sera dai due leader. Non si sono incontrati e lo scontro è stato un po’ surreale ma determinante per capire le diversità personali e politiche. Berlusconi ha parlato di fatti “Renzi non ridurrà le tasse perché la sinistra ha nella sua cultura come traguardo massimo la conquista e l’espansione del potere che significa espandere la spesa pubblica e quindi le tasse”. Renzi ha liquidato con sarcasmo il leader di Forza Italia: “Berlusconi chi? Biglietto scaduto. Di che ha parlato? Fatemi indovinare: di giudici, di comunisti…potrei scrivere un libro..” E invece no..solo un cenno alla persecuzione giudiziaria (65 processi, 565 milioni spesi), per parlare di politica estera con lucidità e lungimiranza, della sua contrarietà all’isolamento che l’Europa ha voluto assegnare a Putin, dei suoi rapporti con Ghedaffi, del ruolo che sotto il suo governo l’Italia aveva in ambito internazionale. E’ il Berlusconi carismatico che abbiamo conosciuto, a volte un po’ ripetitivo, perché deve evidenziare le ricette liberali vincenti in economia, deve dare ottimismo per le elezioni regionali, deve confermare che ci sarà un leader del centrodestra, scelto, forse, con i meccanismi con cui vengono scelti i leader in America. E alla domanda “Che cosa pensa della candidatura De Luca?”, risponde da garantista “Non ho fatto mai alcuna dichiarazione di condanna. Aspettiamo il terzo grado di giudizio”. Eppure la polemica calzava a pennello, poteva sfociare in accuse di doppiopesismo e di slealtà nei confronti di Renzi e di una sinistra maestri di opportunismo e di presunzione. E non c’è rancore, c’è la sobrietà del racconto nello spiegare le ragioni della rottura del patto del Nazareno. Con quel minimo di delusione che anche l’uomo e non solo il politico Renzi gli ha procurato.
Renzi fa il gradasso, il piacione, è visibilmente nervoso, si rivolge al pubblico, esordisce “Non voglio far campagna elettorale, io sono il Presidente del Consiglio”, ma poi enfatizza i meriti della candidata in Liguria, quella Paita che ha vinto le primarie facendo gridare di vergogna Cofferati e dice meraviglie di De Luca, un amministratore che meglio non si può. Condanna la sinistra della sinistra perché da sempre, fin dai tempi di Bertinotti, è una sinistra masochista che non capisce il progresso, dichiara che occorre un sindacato unico perché le varie sigle “giocano a battaglia navale per vincere”, non sicuramente per fare gli interessi dei lavoratori. Sempre nel segno di una infallibilità di giudizio e di prospettiva che è una risposta ai “Gufi” e a chi non vuol capire. Ma nel suo accalorarsi nel difendere le cose a suo dire fatte e nel giustificare i ritardi in economia, c’è la debolezza dell’uomo troppo sicuro di sé, con il respiro corto di chi non sa ascoltare, ma vive anche i rapporti interpersonali con l’affanno di una superiorità sempre da dimostrare.
Viene da dire “Stai sereno, Matteo…il 2018 è lontano e chissà che cosa può succedere nel frattempo”.
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Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano