Milano 31 Maggio – Che sia usato contro avversari politici o, come in questo caso, contro uomini e donne del proprio partito, la notizia vera è che lo strumento della denigrazione è diventato, dopo la fatwa emessa dalla Bindi, parte delle prerogative istituzionali di un organo dello Stato. Posto che giornali e procure avevano già fatto tutto quello che potevano e non dovevano fare per colpire candidati non graditi senza sortire l’effetto sperato, l’aristocrazia dei puri si è risolta a creare una nuova categoria giuridica ed esistenziale, quella degli impresentabili. Fuor di dubbio che né la costituzione italiana né l’interpretazione più estremista della giurisprudenza militante avevano previsto che si potesse intervenire con tale violenza sul libero esercizio del diritto di voto: invece è accaduto. Mi chiedo, io che impresentabile lo sono antropologicamente, se ci si stia rendendo conto della gravità del fatto e, soprattutto, se si abbia compreso quale sarà il passaggio successivo. L’unico antidoto a quest’ultima eventualità, che è lo scontro civile per chi non lo avesse compreso, è una presa di consapevolezza degli italiani sull’importanza reale e quotidiana della parola libertà, sul vero significato del concetto di legalità ed infine, non certo per importanza, sulla propria identità. Tutti noi che ogni giorno viviamo immersi nella realtà e ci confrontiamo con ciò che è vero e ciò che è possibile, domandiamoci se al giudizio della Rosy saremmo presentabili (a chi poi?) o non. Non crediate illusi che per aver fatto un poco di raccolta differenziata e qualche giro in bicicletta per voi si prepari lucente il sol dell’avvenire: la fatwa di ieri serve anche a marcare la distanza fra il popolo che non sa votare e l’aristocrazia dei puri che può scegliere e decidere. Prego quindi coloro che andranno alle urne di farlo rivendicando la propria capacità di scelta: restituite al mittente la maledizione che è stata lanciata, di modo che la forza della libertà mandi a quel paese Maria Rosaria detta Rosy ed i suoi metodi bugiardi.
Tommaso Campanella
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