Riporta a casa dal Marocco la figlioletta rapita dal padre un anno e mezzo fa

Lombardia

Milano 31 Maggio – La bimba sgrana gli occhioni scuri, ma lo smarrimento dura pochi secondi. La mamma pronuncia il suo nome e lei, quattro anni, capelli ricci e castani, le corre incontro. Si abbracciano e restano per tutta la mattina strette l’una all’altra come una seconda pelle. Non si vedevano nè sentivano al telefono dal 13 novembre del 2013, quando il papà l’aveva presa con la scusa di andare al parco giochi invece l’ha portata in Marocco. Il suo Paese.

La mamma, bergamasca, in Marocco ci è andata giovedì, chiamata d’urgenza: «Può venire a riprendere la sua bambina». Storia a lieto fine. Ci hanno lavorato il pm di Bergamo Gianluigi Dettori, i carabinieri, l’Interpol, il ministero della Giustizia, il consolato e le autorità marocchine, che mercoledì hanno arrestato l’uomo (processato e rilasciato ieri mattina) applicando la convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori. «È la prima volta», dice l’avvocato Maria Chiara Zanconi di Milano, volata in Marocco con la madre della piccola.

La voce di D.R.C. (niente nome della mamma per tutelare la bambina) è carica di emozione. Parla al telefono dal Marocco. Da una manciata di ore ha rivisto la sua piccola, dopo un anno e mezzo. Le ha portato un peluche, per farle sentire il profumo della sua casa, in un comune dell’Isola bergamasca. La piccola parla solo l’arabo, ma «mamma» l’ha detto. «Mi guardava con gli occhi smarriti, poi mi è bastato chiamarla e ci siamo abbracciate — racconta la madre —. Siamo rimaste così a lungo. Non voleva andare in braccio a nessun altro». La donna, 39 anni, parrucchiera, è rimasta aggrappata alla convinzione che seguire le regole avrebbe portato al risultato. Aveva ragione: oggi pomeriggio atterrerà all’aeroporto della Malpensa con la sua bambina. «Mi sono fidata di chi stava indagando. Non è stato facile, perché non ho più sentito la bimba, nè il padre. Fino a 20 giorni fa, quando lui mi ha chiamata e mi ha detto che non me l’avrebbe riportata». Eppure «sì, amavo quell’uomo. Se ho avuto una figlia da lui è perché lo amavo». Niente nozze, convivevano a casa di lei. Poi il rapporto è andato male, complice la vita irregolare di lui, senza lavoro, con qualche guaio con la giustizia, che è andato a vivere dal fratello. Finché, nel novembre del 2013, lui chiede di stare un po’ con la figlia. L’ex compagna fa resistenza, poi cede. La sera non li vede tornare. Inizia l’incubo. Le viene in mente quando, due giorni prima, lui le aveva chiesto di restituirgli i vestitini che aveva regalato alla bimba. Lì per lì le era sembrata una ripicca. Poi «ci ho ripensato e ho capito che la stava portando via». Lo chiama: «Sono a Verona», le dice lui il giorno dopo. Lei lo denuncia, il pm dispone subito i tabulati telefonici da cui risulterà che lui è andato a Chioggia, poi a Savona e in Spagna, destinazione Marocco. In auto, perché il magistrato aveva già allertato gli aeroporti che lo avrebbero individuato se avesse preso un volo. Lei lo chiama ancora: «Sono in Marocco, la bimba crescerà con mia madre. Sii felice con chi vuoi, ma ti farò piangere sangue». Dieci giorni dopo la denuncia, il pm ha materiale per chiedere il mandato di cattura europeo e il gip lo firma: sottrazione di minore e sequestro di persone, le accuse. Poi si passa dalla procura generale per avere un mandato internazionale. Nel frattempo il tribunale dei minori avvia il procedimento per togliere la patria potestà. E la madre, tramite l’avvocato, promuove la causa civile invocando la convenzione dell’Aja. È questa — rafforzata dalle richieste della procura — a far scattare l’ordine del giudice marocchino: «La bambina va riconsegnata alla madre». Il papà si rifiuta e viene arrestato. La piccola è affidata a una comunità protetta. Quando l’uomo torna libero, la bimba è già nelle braccia della mamma. Se metterà piede in Europa, verrà arrestato. Intanto il pm ha già chiesto il rinvio a giudizio: udienza il 23 giugno. (Corriere)