Si cerca una riforma dell’euro targata Bce

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Milano 1 Giugno – Non sarà solo la Grecia a determinare il futuro dell’euro. Istituzioni europee e governi nazionali stanno lavorando a un ridisegno della governance dell’euro-area con l’obiettivo di renderla più solida ma anche più rispondente alle scelte dei cittadini.

L’impianto delle proposte è per ora eccezionalmente deludente. Come nel caso greco, anche nel cantiere più ampio dell’euro le parole e le convenienze politiche nazionali prevalgono sugli impegni concreti. Ma dietro le quinte c’è la possibilità di un colpo d’ala che potrebbe ridare impulso al progetto europeo.

La sorpresa potrebbe arrivare entro poche settimane: la Banca Centrale Europea sta valutando al proprio interno se staccarsi dal gruppo delle istituzioni europee incaricate di disegnare il futuro dell’euro-area e presentare un proprio progetto autonomo di integrazione più ambiziosa. Chi guida la banca di Francoforte preferirebbe non rompere il fronte dei presidenti delle quattro istituzioni (Commissione, Consiglio, Eurogruppo e Bce, a cui poi si è aggiunto il presidente del Parlamento europeo), ma le indicazioni sul rapporto atteso per metà giugno dai “quattro più uno” sono così poco incoraggianti che si sta valutando una proposta propria e più ambiziosa, con passi decisi verso l’unione fiscale dell’euro area in modo da facilitare anche il coordinamento delle riforme strutturali. Senza mercati dei prodotti e del lavoro più efficienti ed elastici, la tenuta dell’euro-area non è infatti garantita.

Le proposte attuali di riforma dell’euro-area sarebbero così modeste che non si esclude che un rapporto completo venga rinviato a fine anno anche se una prima bozza sarà pronta già per l’8 giugno. In questo quadro, non sarebbe un passo agevole per la Bce, un’istituzione sovranazionale ma non elettiva, contrapporsi a istituzioni con legittimazione democratica diretta, invocando maggiore impegno politico e maggiore responsabilità reciproca. Nel corso di una discussione interna tra i membri dei consigli della Bce si è anche valutato se proposte gravide di implicazioni politiche – condivisione dei rischi e unione fiscale – possano venire da un istituto che ha nella propria autonomia dalla politica una garanzia costitutiva.

Inoltre il distacco polemico della Bce dalle altre istituzioni europee potrebbe dare un segnale di fragilità alla costruzione europea in un momento segnato dalla crisi greca. Tuttavia proprio la difficile trattativa che si conduce tra Bruxelles ed Atene mostra la necessità di una governance migliore. E i piani che arrivano dalle capitali – in particolare da Berlino e Parigi – sono addirittura in contraddizione con gli interventi che si chiedono ad Atene. Le proposte non offrono garanzie che il profilo futuro dell’euro area sia rafforzato e non si finisca per ricorrere a ogni crisi al salvataggio da parte della Bce mettendone a rischio ruolo e credibilità.

Nel testo in discussione tra gli sherpa a Bruxelles manca un calendario stringente di riforma e un riferimento ai primi ambiziosi documenti comuni: il primo progetto dei quattro presidenti (maggio 2012) e la successiva “blueprint” della Commissione (ottobre 2012). Lunedì scorso l’Italia ha pubblicato sul sito di Palazzo Chigi un ampio e ambizioso documento di proposta che riprende lo spirito originario dell’iniziativa, ma un colpo letale è arrivato col documento che Francia e Germania hanno presentato insieme tenendo conto dei loro appuntamenti elettorali del 2017. I due paesi propongono un percorso a due stadi che rinvii ogni modifica dei Trattati. Il ciclo elettorale del 2017 frenerà anche gli altri paesi dal presentare proposte che rischiano di essere rinnegate da chi governerà a Parigi e Berlino tra due anni.

Impostare su due tempi distinti la riforma dell’euro ha implicazioni di contenuto molto forti. Il nodo della questione è che Berlino vuole l’applicazione di accordi contrattuali con cui ogni paese si vincola a riforme strutturali, senza che ciò sia accompagnato contemporaneamente dalla disponibilità di risorse fiscali condivise che possano facilitare la realizzazione delle riforme. Strumenti di condivisione fiscale verrebbero messi a disposizione solo nella seconda fase. Si tratta di un passo indietro rispetto al progetto di una governance completa e condivisa. Ma che risponde allo spirito di ritorno alle prerogative nazionali che soffia attraverso il Reno. La proposta franco-tedesca prevede infatti che la Commissione europea proponga una politica economica con sguardo comune, ma che le decisioni siano prese dai capi di governo. Si tratta per Parigi e Berlino (sostenuti da diversi paesi dell’Est) di ridurre l’intrusione della Commissione europea e di limitare le “raccomandazioni specifiche” l’esercizio annuale di sorveglianza condotto dalla Commissione sui singoli paesi, a solo due o tre ambiti di politica, comunque sottoposti ad approvazione da parte del governo in questione e alla sua discrezionalità nell’applicarle in concreto.

La restrizione dell’influenza della Commissione non giunge come una sorpresa dopo che entrambi i paesi hanno di fatto stracciato le raccomandazioni che sono state loro indirizzate. Berlino è irritata per le richieste di aumentare gli investimenti e i salari. Mentre Parigi resiste ai richiami sui disavanzi pubblici. Proprio il dettaglio delle discussioni sulle “raccomandazioni specifiche” ha reso l’esercizio di governo economico comune molto insoddisfacente. Basta aver partecipato di persona alle discussioni sulle “raccomandazioni” per sapere che si tratta di un incubo, un insieme di micro-osservazioni granulari in cui vengono invece annegati macro-squilibri in grado di mettere in pericolo l’intera barca europea. Focalizzare il confronto è dunque necessario, ma non può essere lasciato in mano ai governi nazionali. Come si è visto nel caso degli squilibri commerciali tedeschi, mai oggetto di correzione da parte di Berlino, né di sanzione da parte di Bruxelles. Inoltre la critica all’intrusività di Bruxelles fa a pugni con la trattativa in corso tra le istituzioni europee ed Atene a cui viene invece richiesto di specificare ogni dettaglio delle politiche concordate, incluse le aliquote Iva da applicare su alcune isole.

Carlo Bastasin (Il Sole 24 Ore)