Milano 8 Giugno – Bambini che hanno una avversione al cibo, che vanno rincorsi con il piatto in mano per pochi bocconi e non sono attratti dagli alimenti più appropriati per la loro età. Per il 25% dei piccoli sotto i sei anni sedersi a tavola è uno stress e, anche se nella maggior parte dei casi il problema si risolve con poche semplici regole, ci possono essere casi più gravi, con sintomi che assomigliano molto a quelli dei disturbi alimentari dei ‘fratelli’ più grandi. Gli specialisti parlano, in questi casi, di Nofed (Non-Organic Feeding Disorders), tema discusso oggi in una sessione del Congresso italiano di pediatria – aperto oggi a Roma – e da cui sono emerse anche alcune regole per i genitori dalle cose ‘giuste’ da fare e quelle da evitare
I Nofed, ha spiegato Claudio Romano, pediatra dell’Università di Messina, riguardano il 25% dei bambini sani e l’80% di quelli che hanno qualche problema di sviluppo. Nel 15-30% dei casi a causarli sono problemi organici, mentre per l’80% si tratta di disturbi della sfera psicologica. “La forma più frequente di disturbo di tipo non organico – ha detto – è costituita dai ‘picky eaters’, bambini che, in media, mangiano poco spontaneamente nel corso della giornata e hanno un’avversione verso il cibo o che non provano alcun piacere a tavola. Per fortuna nella maggior parte dei casi questi bambini sono vivaci e svolgono regolarmente la loro attività. Il ruolo del pediatra in queste condizioni è quello di rassicurare la famiglia, che spesso considera questo comportamento alimentare come espressione di una condizione patologica. La fascia di età più interessata è quella tra i 3 e 6 anni”.
Oltre che per i bimbi, ha spiegato Romano, il problema è stressante anche per i genitori. “Il comportamento dei genitori nei confronti di un figlio ‘picky eater’ rappresenta il più importante fattore coadiuvante la persistenza o l’accentuazione del problema”, sottolinea l’esperto. “Infatti pur di assicurare, secondo loro, una alimentazione adeguata sono disposti a tutto. I comportamenti più frequenti sono quelli di offrire il latte di notte durante il sonno (nel bambino tra i 2-3 anni), o di assumere un atteggiamento persecutorio nei confronti del bambino rispetto al cibo, associato spesso a forzature. Un altro comportamento da eliminare è costituito dal consentire ‘distrazioni’ durante il pasto (gioco, televisione). Il bambino deve consumare il pasto seduto a tavola”.
I primi problemi possono nascere già dallo svezzamento, altro momento che genera ‘panico’ nei genitori, ma secondo Romano più che affidarsi a metodi strampalati, magari trovati sul web o attraverso le amiche, è sufficiente una semplice regola. Il rischio può essere ridotto offrendo prima dei 9 mesi anche alimenti dal “forte gusto” quali i vegetali, pomodori ed agrumi.
Dal 10° mese in poi può essere offerta un’alimentazione da ‘adulto’ e senza limiti, rispettando però i gusti del bambino (alimentazione responsiva). Uno svezzamento “troppo lento” e con l’introduzione tardiva dei “gusti forti” può favorire l’instaurarsi di un “comportamento alimentare di tipo neofobico, in cui alimenti nuovi vengono rifiutati”.
Il disturbo deve preoccupare, però, solo in alcuni casi. La presenza di sintomi clinici di tipo gastrointestinale come il vomito, la diarrea e principalmente l’arresto della crescita o la perdita di peso rappresentano dei campanelli d’allarme che devono indurre ad un approfondimento diagnostico per escludere cause di natura organica. Anche eventuali sintomi di tipo extragastrointestinale, come la presenza di un ritardo dello sviluppo psicomotorio (linguaggio, deambulazione), possono essere legati ad un disturbo del comportamento alimentare di tipo organico. (Adnkronos)
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