Milano 9 Giugno – “Dalla ricostruzione dei colloqui e della corrispondenza intercorsa tra il Procuratore ed il Procuratore Aggiunto emerge una forte preoccupazione del primo in ordine alle ricadute che una eventuale iscrizione nel registro degli indagati di Guido Podestà, Presidente della Provincia (di Milano, ndr) nonché responsabile del Pdl lombardo, avrebbe avuto su tale partito politico.
L’assunto trova peraltro conferma nel comportamento tenuto successivamente dal dott. Bruti Liberti, che contestava all’Aggiunto (Robledo, ndr) di non averlo informato per tempo dell’avvenuta iscrizione nonché delle successive attività di indagine … Orbene, pur apparendo talune remore del Procuratore caratterizzate da valutazioni di natura squisitamente politica, non si rinvengono, nelle pieghe della presente indagine, elementi per affermare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio in capo all’indagato”.
Con queste motivazioni, l’8 maggio scorso, il Procuratore di Brescia Tommaso Buonanno ed il Sostituto Lara Ghirardi hanno chiesto l’archiviazione, accolta questa settimana dal Gip Elena Stefana, del procedimento aperto, fra l’altro, a seguito di alcune denunce presentate nella primavera del 2010 dai radicali della lista Bonino – Pannella. La vicenda riguardava la falsità di circa un migliaio di firme presentate a sostegno delle liste del Pdl in Lombardia in occasione delle elezioni amministrative del 2010. Per quel fatto è stato condannato il 28 novembre 2014 a due anni e nove mesi l’allora presidente della Provincia di Milano Podestà. Il giudice, nelle motivazioni, scrisse che le irregolarità commesse furono talmente gravi che “le intere elezioni avrebbero potuto essere annullate”.
Dopo cinque anni, con una archiviazione direttamente nella fase delle indagini preliminari, cala dunque il sipario su una pagina non proprio edificante per l’immagine della magistratura italiana, cioè lo scontro trascinatosi per mesi fra il Procuratore Bruti Liberati ed il suo Aggiunto Robledo. Fra gli innumerevoli motivi di conflitto c’era, appunto, anche la gestione dell’indagine sulle “firme false”. Gli esiti della querelle sono noti: disfatta di Robledo, trasferito in via cautelare al Tribunale di Torino con perdita delle funzioni semidirettive e trionfo di Bruti Liberati che, grazie ad un decreto legge ad hoc con cui Renzi si appresta a rottamare la legge del suo ministro Madia, potrà restare a capo della procura milanese per altri due anni in deroga al limite dei 70 anni.
Il Procuratore di Brescia Buonanno che, solo per la cronaca, il 9 aprile scorso aveva tenuto una conferenza stampa congiunta a Milano subito dopo la strage al palazzo di giustizia con il suo indagato e collega Bruti Liberati, nella richiesta di archiviazione ha definito il comportamento tenuto da quest’ultimo nell’indagine sulle firme false “caratterizzato da valutazioni di natura politica”. Confermando, nei fatti, un sospetto che hanno in molti, cioè che l’azione penale in Italia è obbligatoria sulla carta ma discrezionale nei fatti. Legata a sensibilità personali, opportunità politica, congiunture astrali.
Infatti, come riporta Buonanno nella richiesta di archiviazione, allorquando Bruti Liberati chiese a Robledo, che voleva iscrivere Podestà avendo riscontrato elementi di colpevolezza a suo carico, “Poi non l’hai più fatta quell’iscrizione, vero?”, avendo ricevuto risposta contraria, replicò con disappunto “Allora non ci siamo capiti”. Tant’è che Robledo rispose di non sentirsi vincolato nelle proprie determinazioni dalle pressioni del Procuratore bensì solo dal proprio convincimento personale e dalla legge. Riteniamo volendosi riferire all’art. 335 cpp: “Il pubblico ministero iscrive immediatamente ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa … contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito”.
Comunque, ormai giustizia è fatta. Come scrive il Gip di Brescia nel decreto di archiviazione per Bruti Liberati, riprendendo la richiesta della Procura, manca il dolo intenzionale richiesto affinché si configuri il reato di abuso d’ufficio. In quanto “è incongruo sostenere che il con il suo comportamento Bruti Liberati abbia voluto sostenere i candidati del Pdl, non risultando rapporti personali fra lui e i supposti beneficiari delle sue decisioni”.
Per Bruti Liberati rimane in piedi, a questo punto, solo il disciplinare aperto al Csm. Ma a Palazzo dei Marescialli, sembra, che di questa pratica si siano perse le tracce.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.