Bersani ritorna alle origini in versione sinfonica

Cultura e spettacolo

Milano 10 Giugno – «Da bambino mi mettevo a piangere quando il disco finiva: si trattava quasi sempre di Bach. ll cantautore riminese apre venerdì «I Pomeriggi d’autore»

Portare Samuele Bersani dentro un’orchestra sinfonica è stata un’idea vulcanica: venerdì il cantautore riminese aprirà «I Pomeriggi d’autore», ciclo di concerti estivi con cui i Pomeriggi Musicali allargano i loro confini aprendosi ad altri linguaggi, non solo musicali; proporrà tante sue canzoni in veste integralmente sinfonica, senza batteria o strumenti elettrici. Deciderà il pubblico se sarà un incontro incandescente, un’eruzione di note, un magma sonoro; ma un incontro vulcanico è stato comunque, perché nato all’ombra estiva di un vulcano.

Com’è nato questo progetto?
«Parlando con Maurizio ( Salerno, direttore artistico dei Pomeriggi Musicali, ndr). Ci siamo conosciuti vent’anni fa in vacanza a Stromboli; ci vediamo spesso, ma la nostra è un’amicizia extramusicale: lui è organista, ama la musica antica e barocca e la mia non rientra esattamente in questo ambito… Poi però è uscita questa idea che ci ha convinti entrambi».
Che cosa l’ha convinta? 
«Per me è un ritorno a casa. Mio padre era flautista e dirigeva un’orchestra a Rimini. Andavo spesso a sentirlo e altrettanto spesso c’erano musicisti in casa».
Dna classico dunque?
«Sì, ero il tipico bambino che giocava sul tappetino e si metteva a piangere quando il disco finiva: quasi sempre i Concerti brandeburghesi di Bach. Ma il mio rapporto con la classica non è stato mai molto felice: suonavo il pianoforte ma non ho superato neppure il primo esame serio, quello del quinto anno; quando mia madre mi portava a lezione, il martedì alle due e mezza, appena entravo nella via della scuola pensavo agli esercizi di Czerny e diventavo il bambino più triste del mondo».
Quando la ribellione?
«In realtà per casa circolava altra musica, portata dai personaggi più disparati: era un andirivieni di indiani e cileni, di benji e charanghi. Per non dire di Lucio ( Dalla, con cui Bersani ebbe un profondo legame umano e artistico, ndr), un’anima jazz che firmava regie liriche e trasformava la Tosca in musical. Comunque a 14 anni creai il mio primo gruppo: serate da pianobar, io facevo le richieste per il pubblico perché avevamo 23 canzoni in repertorio e non una di più, esaurite tutte si ripartiva da capo».
Quando è diventato il suo lavoro?
«A 21 anni ho aperto la partita Iva, ma non mi ha cambiato la vita. La musica è sempre stata l’unica cosa che sapevo fare».
Arriviamo a venerdì: che effetto le fa questa dimensione sinfonica?
«È bellissimo chiudere gli occhi, cantare e sentirsi avvolto dagli strumenti. In realtà fin dalla mia prima canzone ho composto pensando ai colori primari, che in musica sono gli strumenti non elettrici: ecco perché, proprio partendo da “Il mostro”, mi sono ritrovato subito in questa dimensione. Certo, “Psycho” è molto ritmica: la trasfigurazione orchestrale la rende meno percussiva, se avessi fin da subito avuto a disposizione un’orchestra magari l’avrei realizzata con un altro spirito. Ma potrebbe essere un progetto da realizzare nei prossimi mesi, in studio, con alcune canzoni che canto con i Pomeriggi, come “Occhiali rotti” o “Il pescatore di asterischi”».

Enrico Parola (Corriere)