Milano 24 Giugno – Era bella Wheatfield.
Un campo di grano in città, un progetto di Land Art ecologica già realizzato a New York dall’artista Agnes Denes nel 1982, di grandissimo impatto culturale ed emozionale, dove la natura si riappropria del suo territorio, all’ombra dei grattacieli e della city.
A me piaceva leggerla anche come un’opera che simboleggia la rinascita, il futuro, la prosperità.
Di grande augurio per una città che ha smarrito la sua identità, che non ricorda più la sua storia, che fa fatica a produrre e a dar da mangiare ai suoi figli. E che deve trovare le risorse per provvedere anche ai figli degli altri.
Insomma, per me era il simbolo della ripartenza di noi tutti.
Ed invece il grano non è cresciuto.
Il campo è verde, invaso da erba infestante, con qualche piccola coraggiosa spiga che sembra ricercare le altre per avere maggiore visibilità ed affermare la propria essenza.
Abbiamo sbagliato a seminare anche l’erba medica di modo che non rimanesse uno spazio brullo dopo la mietitura, visto che siamo ancora in vetrina fino ad ottobre? O abbiamo irrigato troppo e disinfestato poco, pervasi ormai da un concetto di biologico che ci porta a negare i progressi tecnologici che hanno consentito colture migliori in questi ultimi cento anni?
Forse il grano, semplicemente, non ha riconosciuto il locus come il suo, si è rifiutato di crescere in mezzo al cemento.
Ed allora il messaggio è chiaro.
Siamo ormai come le spighe in città. Soffocati. Incapaci di esprimere noi stessi. Storditi da ideologie, modelli, false speranze, colpevolizzati se tentiamo di riappropriarci di ordine, pulizia, buona educazione, operosità, valori che sono sempre stati nostri e che ci vediamo costretti a sacrificare in nome di una globalizzazione che non esiste, perché il bene siamo noi, le nostre famiglie, i nostri ragazzi che crescono, le nostre imprese che assumono.
Io non ci vado più a vedere a Porta Nuova il grano che non cresce. Ma so come rimediare.
Vado a San Maurizio, al monastero maggiore di Corso Magenta dove dopo trenta anni di restauri posso godermi ben quattromila metri quadri di affreschi del 500 milanese. Venite anche voi.
Ma prima, guardate le immagini delle croste nere che avevano pervaso i muri, e poi entrate.
Ne sarete orgogliosi. Viva Milano.
Cornelia
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