Milano 25 Giugno – Il solito doppiopesismo renziano. Il premier, ancora una volta, inciampa sulla questione morale. Ma stavolta non c’entra la strenua difesa dei sottosegretari indagati che fa a pugni con il giustizialismo con cui Renzi voleva giubilare la Cancellieri e che ha colpito i ministri Ncd Nunzia De Girolamo e Maurizio Lupi. No, stavolta il presidente del Consiglio deve fare i conti con la legge Severino e il caso De Luca, il neogovernatore della Campania che, appena eletto, potrebbe decadere per abuso d’ufficio.
Renzi con De Luca è ipergarantista. «La presidenza del consiglio dei Ministri ha richiesto ai ministri un parere sul presidente della Regione Campagna – spiega – Nostro intendimento è procedere alla sospensione. Aspettiamo che i ministri competenti esprimano un parere e che l’avvocatura dello stato ci dica come procedere». «Si tratta di una figura istituzionale che deve essere proclamata e dobbiamo procedere rispettando la legge e quanto disposto dagli organi competenti», aggiunge Renzi.
Il premier poi ribadisce: «Vogliamo garantire il diritto del Consiglio Regionale a costituirsi e il principio per il quale la legge Severino vale per tutti». Tuttavia, «la legge prevede che ci sia un parere del ministro dell’Interno e degli Affari Regionali. Io ho voluto essere ancor più sicuro e ho chiesto anche all’avvocatura dello Stato – aggiunge Renzi – Verificheremo quindi quando dovrà scattare il provvedimento di sospensione. Io sono pronto a firmare quando mi diranno che è il momento di firmare».
Ma perché tanta prudenza su De Luca. È lo stesso presidente del Consiglio a spiegarlo nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi, quando, parlando della legge Severino, spiega: «La norma lascia uno spazio interpretativo. Non prevede quando deve essere sospeso il presidente risultato eletto che non era nel suo incarico quando è colpito dalla Severino. Per questo ho chiesto una specifica tecnica, ci sono interessi di tipo ordinamentale e costituzionale, fermo restando che la legge vale per tutti, compreso De Luca».
La legge vale indubbiamente per tutti, il dubbio interpretativo però vale solo per gli esponenti del Partito democratico. Di certo non valeva per Silvio Berlusconi, al quale il Pd negò il giudizio di costituzionalità sulla retroattività della legge Severino. Nel novembre 2013, quando il Cav venne fatto decadere da senatore con il voto dell’Aula di Palazzo Madama, tutto il Pd votò contro il leader dell’allora Pdl, partito che sosteneva il governo guidato da Enrico Letta. Le conseguenze politiche furono devastanti, con tanto di scissione del centrodestra. È vero che Renzi non era ancora né segretario del Pd né presidente del Consiglio, ma l’allora sindaco di Firenze e candidato alle primarie Dem sulla decadenza di Berlusconi non ebbe il minimo dubbio, invitando i parlamentari a votare contro il Cav senza se e senza ma.
Oggi con De Luca è tutto diverso. Tant’è che lo stesso Beppe Grillo, leader del MoVimento 5 Stelle, sul proprio blog tuona contro Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticurrozione. «La marca Pd ha finalmente trovato il suo testimonial ideale, in un periodo in cui gliene arrestano uno dopo l’altro – scrive il comico genovese – Sguardo serio e severo, faccia pulita e curriculum di tutto rispetto: Raffaele Cantone è quanto di meglio il brand Pd possa proporre per riaccreditarsi di fronte ai cittadini come baluardo contro la corruzione. Cantone viene spinto oltre e usato come ariete per sfondare la legge Severino e magari sistemare il pasticciaccio campano».
Quanto a De Luca, lunedì dovrebbe riunire il Consiglio regionale e nominare il proprio vice, in modo da salvare la legislatura.
Daniele Di Mario (Il Tempo)
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