L’ipocrisia di Pisapia: amare gli spot non è difendere i diritti civili

Attualità Milano

Milano 29 Giugno – Pisapia va alla guerra per difendere i diritti dei gay e lo spot pubblicitario conseguente ha toni forti e urlati di chi non ammette dissenso, di chi crede di dover gridare al Parlamento, al popolo, al mondo intero che è giusto e sacrosanto legiferare sui matrimoni tra omosessuali e bisogna fare in fretta perché troppo tempo è stato perso, perché sui diritti non si discute, perché “l’urlo” che si alza dal Gay Pride “è ancora un urlo di forza e comprensione, ma se entro quest’anno non servirà a colmare le lacune legislative, diventerà un urlo di ribellione e rabbia”. Perché molto più prosaicamente l’elettorato gay rappresenta una bella fetta di elettori, perché perseguire la rivendicazione dei loro diritti in modo platealmente manifesto è opportuno politicamente, perché mettere la fascia da sindaco ad una manifestazione di parte è prendere possesso e voler gestire una parte di popolazione che ha una sua fragilità implicita, perché Pisapia è maestro nell’autocelebrazione e nelle intuizioni che abbiano una risonanza pubblicitaria.

La sinistra al seguito era là a squadernare la bandiera della difesa gay, quasi fosse l’ultimo avamposto di modernità da conquistare del pensiero progressista, quasi che fosse il nuovo vessillo unificante a cui aggrapparsi. I diritti dei gay vanno rispettati, tutelati e regolamentati, perché, appunto, sono diritti. Ma non sono diritti di serie A o B o C. Non esiste una scala di diritti, esistono i principi di libertà, di giustizia, di equità a cui uno Stato deve attenersi nel riconoscere i diritti civili delle persone. Ma per Pisapia esistono i diritti per così dire più opportuni, più convenienti, più redditizi. E l’ipocrisia che accompagna il suo fare politica è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere. Esemplificando: il divorzio breve permette ai coniugi di comparire innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune per concludere un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. A tal fine ovviamente il Sindaco deve aver dato disposizioni puntuali, istruito i preposti a svolgere i compiti assegnati dalla legge in vigore, ma a Milano nulla è stato predisposto. Pisapia, evidentemente se ne infischia dei diritti civili dei coniugi che vogliono separarsi senza spendere e hanno concordato la fine del loro matrimonio. Se vai agli uffici di stato civile, ti suggeriscono di tornare tra sei mesi o un anno, alla faccia della legge che predica il divorzio “breve”. Poveri coniugi con diritti di serie B o C e con l’unica colpa di non dare visibilità a un sindaco assetato di pubblicità!

 

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