Milano 10 Luglio – Se la legge è uguale per tutti, dopo la condanna a tre anni di Silvio Berlusconi per la compravendita dei parlamentari nel 2008, vanno subito istruiti 197 processi per altrettanti cambi di casacca fra gli eletti al Senato come alla Camera. Con quest’ultima sentenza, nella natura multiforme del suo pronunciamento, la magistratura si fa arte e politica. È una sentenza costituente, perché ribalta l’inesistenza del vincolo di mandato, sancita dall’articolo 67 della nostra Carta fondamentale. È una sentenza teatrale, perché basata su un personaggio picaresco, quale Sergio De Gregorio indiscutibilmente è. Per descriverlo, e per descrivere la genesi dell’inchiesta napoletana occorre rifarsi alla massima onirica di Stefano Benni allorché scrisse che per correre dietro ai sogni occorre avere un gran fisico. E Sergione De Gregorio, il grande accusatore del Cav, modestamente una signora stazza ce l’ha. Per scacciare l’incubo di finirci lui in cella, infatti, l’omone cresciuto con Di Pietro e poi trasmigrato nel Pdl grazie a tre milioni di Berlusconi (così ha raccontato) dopo una notte insonne passata a rivoltarsi nel letto, si arrenderà: «Ho deciso di pentirmi perché mi è apparso in sogno papà mio che mi diceva di andare dai magistrati e dire tutto su Berlusconi». Papà mio. Ex giornalista, ex editore, ex senatore, ex avventuriero dalle alterne fortune (diventa persino vittima di usura camorristica) nella foga di convincere anche il Padreterno riscopre scrupoli spirituali vergando una lettera a Papa Bergoglio. Insomma, una figura sospesa tra cielo e terra, ritenuta credibile dai pm e dai giudici partenopei. D’altronde, che questo non fosse un processo come tutti gli altri lo aveva detto anche il pm Woodcock nella sua controreplica: «L’incipiente prescrizione elimina dal punto di vista delle conseguenze il pathos di questa sentenza». Già, perché una sentenza mica deve realizzare la giustizia applicando i Codici. Deve invece procurare emozioni, scuotimento emotivo. Deve essere molto pop, insomma. Magari riscrivendo anche la storia. Ora sappiamo che l’ultimo governo Prodi non era impopolare e sappiamo che una coalizione, come il centrosinistra di allora, pencolante tra cespugli, partitini e differenze risicatissime al Senato, è impossibile potesse cadere se non a suon di bustarelle. Archiviata la condanna esemplare del Cav, occorre andare oltre. Indagare sulle ragioni che portarono alla caduta del governo Berlusconi del ’94, dopo appena sei mesi. Indagare anche sui 197 «traditori» di questa legislatura. E perché no, sui «traditori» del Cavaliere che ora tengono in vita il governo Renzi dopo aver ottenuto posti di ministro e sottosegretario. Il vincolo di mandato, da ieri, è vivo e lotta insieme a noi. E noi vogliamo un po’ di pathos. GIAN MARCO CHIOCCI (Il Tempo)
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