L’on. Chaouki va a trovare in cella i jihadisti italiani per vedere che effetto che fa

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Milano 19 Luglio – Ti chiedi cosa sia andato a fare Khalid Chaouki, il deputato marocchino del Pd, nel carcere di San Vittore, dove sono rinchiusi i parenti di Maria Giulia Sergio, la 27enne italiana, alias “Fatima”, convertitasi all’islam e arruolatasi nelle milizie del Califfato. È per caso andato lì in qualità di giornalista? No, anche se poi le sue conversazioni con i Sergio sono state riferite al cronista di Repubblica. È per caso andato a esprimere solidarietà alle persone arrestate? Verosimilmente no, visto che si tratta di soggetti accusati di aver organizzato le partenze di combattenti con finalità terroristiche.

chaouki

E allora cosa è andato a fare Choauki, qual era il senso e lo scopo di questa missione non procrastinabile? Un semplice atto di pietà religiosa, visto che anche lui è musulmano? Un gesto ufficiale, richiestogli dal suo partito, in quanto rappresentante di un’istituzione? Nemmeno.

Lui dice di aver voluto «guardare negli occhi questa pericolosa realtà» per «poter adottare una strategia valida per prevenire il radicalismo» e «capire come recluta il Califfato». Ma non abbiamo certo bisogno di sociologi sul campo, o in carcere, e di un’osservazione partecipante a mo’ degli antropologi per intuire le dinamiche perverse di arruolamento alla jihad e per comprendere la mentalità distorta di chi si fa plagiare dalle sirene del fanatismo. Non c’è bisogno di sergioguardare negli occhi i terroristi o chi li fiancheggia, onorevole Chaouki, anche perché loro stessi si occultano, dietro veli e copricapi, le donne soprattutto, come la sorella di Maria Giulia, Marianna, che in carcere lamenta di avere un velo troppo corto che «non copre». Sono loro a nascondersi, mascherarsi, e non spetta certo a un parlamentare della Repubblica andare a fare un’indagine in loco per sapere che faccia hanno e cosa dicono, ché poi – lo sai già – sarà sicuramente qualcosa per discolparsi, per dire “noi siamo innocenti, non siam mica terroristi”. E infatti gli dicono: «Noi siamo persone normali, non abbiamo fatto niente di male» e che «Credere in Allah, non è terrorismo».

Ma cosa si aspettava, l’onorevole Chaouki? Che si auto-incolpassero? Che facessero pubblica ammenda? Che riconoscessero i propri errori e ammettessero le proprie complicità coi terroristi e facessero un passo indietro, rinnegando non solo la propria contiguità con chi va in Siria a combattere per il Califfo ma anche la propria fede? Certo che no. Andando in carcere, guardando i loro volti e ascoltando le loro voci, l’onorevole Chaouki, ingenuamente, ha rischiato di fare da cassa di risonanza alla loro versione edulcorata dei fatti, e fatto sì che qualcuno potesse dar credito alle loro parole.

Ricordiamo, a livello di cronaca, che Maria Giulia, parlando con i propri parenti, aveva pronunciato queste parole testuali: «Siamo pronti al jihad, l’azione più grande, più meritoria»; «Noi dobbiamo stare solo con i credenti, sotto la sharìa»: gli altri, i miscredenti «è gente cui deve essere tagliata la testa», ché «noi decapitiamo in nome di Allah»; aveva esortato il padre a «prendere la mamma per i capelli e portarla qui in Siria» perché «sei tu che decidi». Non proprio messaggi tranquillizzanti, cui i familiari della Sergio si attenevano, pensando – come testimoniano le intercettazioni e sono convinti gli inquirenti – di trasferirsi al più presto in Siria, per sostenere la causa del Califfo, già abbracciata da Maria Giulia.

Ma l’onorevole Chaouki aveva bisogno – così dice –  di guardare queste persone in faccia. Per vedere l’effetto che faceva. E per scoprire – quasi non lo sapessero già tutti – quanto banale e tremendo possa essere al contempo il Male.

Gianluca Veneziani (L’Intraprendente)

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