Milano 21 Luglio – Ho amato Elio Fiorucci e la sua moda pop, innovativa, con i colori di un mondo in evoluzione, l’allegria di una rivoluzione culturale e comportamentale, la libertà che diventava risposta ai più segreti desideri.
Uno stilista con l’istinto del tempo, l’amore per una donna nuova che profumava di autonomia, l’intelligenza senza retorica e pregiudizi, il gusto innato per una moda semplificata, alla portata di tutti.
E si andava nel suo negozio in San Babila quasi fosse un appuntamento obbligato, con l’arredamento trasparente, futurista per l’epoca e la musica a volume altissimo, quasi uno shock.
Il 68 predicava la libertà, prefigurava viaggi e conoscenze senza limiti e confini, l’hippysmo diventava un’esigenza di costume e allora là trovavi magliette e gonnelloni d’arcobaleno, jeans morbidi e comodi, felpe fantasia: un paradiso nuovo per scegliere, abbinare, trasformarsi. E ci sembrava che fosse uno stile creato per ciascuno di noi, facile da portare, con i prezzi accessibili e la fantasia di un sogno realizzabile.
Vestivamo Fiorucci perché era una moda gioiosa, pratica, senza la retorica degli stilisti di allora, con il piacere di non essere ingessate in modelli troppo strutturati, con il gusto per i colori anche in pieno inverno, con la soddisfazione di poter acquistare il capriccio risparmiando sui caffè.
Possiedo ancora un abito degli anni 70, anche oggi portabilissimo, con sfumature degradanti dal pallido all’intenso, la scollatura quadrata, le maniche a pipistrello che, nelle sere estive, al mare, si aprono al vento.
Fiorucci è morto e con lui il ricordo di un pezzo di vita.

Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano