Milano 27 Luglio – L’articolo sul degrado Roma uscito sull’edizione internazionale del New York Times non fa che dare una conferma e una cassa di risonanza a quella che è ormai una evidenza drammatica: la città è allo sfascio. Vivo a Roma da venti anni e ho potuto vedere, con i miei occhi, l’involuzione ogni anno sempre maggiore della capitale. Nella città è ormai difficile, anzi direi impossibile, fare in modo normale le cose più semplici, quelle che sono possibili in ogni metropoli mondiale (ripetere il vecchio adagio che “Roma è l’unica grande città africana senza un quartiere europeo” rischia di essere offensivo ma per le città africane!). A Roma è impossibile, ad esempio, dare un appuntamento: i mezzi pubblici sono clamorosamente insufficienti e da “terzo mondo” e, se uno decide di prendere l’automobile, è un’avventura parcheggiarla. D’altronde, il traffico impazzisce per un nonnulla e, pur essendo una delle città al mondo con il maggior numero di vigili urbani, vederne qualcuno in strada è un evento straordinario (ma dove stanno?). Gli uffici pullulano di sfaticati iperprotetti dai sindacati e non controllati dai capi: anche per fare un documento o parlare al telefono con un centralinista abbisogna ormai di una “raccomandazione”! La manutenzione di strade, parchi, fognature, e quant’altro, è poi semplicemente inesistente, come attesta il quotidiano newyorkese.
Ma credo sia inutile sfoderare un cahier de doleances che veramente, se lo continuassimo, non finirebbe mai. Diciamo che Roma in questo momento presenta al massimo grado tutti gli atavici problemi del sistema-Italia, ad esempio con un ceto impiegatizio e burocratico assistito e che non fa il proprio dovere e uno Stato iperpresente ma inefficace, con in più una incapacità estrema di reazione del mondo politico. Il quale, soprattutto nella persona del sindaco Ignazio Marino, non solo non reagisce ma dimostra anzi di non rendersi nemmeno conto né della gravità né dell’esistenza stessa dei problemi. Le uscite pubbliche e le energie comunicative dell’amministrazione capitolina sono tutte convogliate su problemi francamente secondari, come riconoscere i diritti ai gay, o addirittura ridicoli e pericolosi come togliere traccia dell’imponente architettura fascista dalla città o (la notizia è di stamane) togliere la numerazione latina da strade e piazze urbane. È un sindaco che non teme il ridicolo, non so se per incapacità cognitiva (i famosi “neuroni” di una fra le ultime sue uscite pubbliche) o per sostanziale furbizia.
Il New York Times fa proprio il refrain che circola in certi ambienti radical-chic cittadini: “Il sindaco è incapace, ma onesto”. Ma di grazia, l’onestà morale è un criterio politico? E che ce ne facciamo? Ed è poi politicamente (e intellettualmente) onesto, che è quello che qui conta, un primo cittadino che, in barba al sentimento diffuso degli altri cittadini, rimane attaccato ad una poltrona mentre l’immagine di Roma crolla a livello internazionale? Che amore può avere per una città, che fra l’altro non è sua, un politico che è completamente al di fuori dei problemi, come vivesse in un altro pianeta (il “marziano a Roma” di Flaiano, almeno, dopo un po’ si era romanizzato!). Per non parlare poi dell’indecorosa indecisione di Matteo Renzi che, presentatosi come “rottamatore” non ha oggi il coraggio di sfiduciare il sindaco per meschini, e di breve respiro, calcoli elettoralistici.
Che fare? Io, fra il serio e il faceto, proporrei di sfiduciare noi, romani più o meno acquisiti, il sindaco. Chiedendone le dimissioni, ma anche passando alle vie legali, che son quelle che poi più contano in un paese di legulei come il nostro. Con un’ “azione collettiva“, diciamo così. Poiché è ormai chiaro che, andando all’estero, ci sarà di nocumento il presentarci come romani, perché non denunciamo tutti insieme per danno morale e d’immagine il sindaco marziano? Ci sarà un giudice se non a Berlino, almeno in un Tar regionale!
Corrado Ocone (L’Intraprendente)
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