Shanghai crolla…di nuovo

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Milano 28 Luglio – Oltre a questo giornale, ça va sans dire, in pochi erano certi sarebbe successo. Non siamo indovini. Siamo solo Liberali. E come tali abbiamo una sola ed unica grande certezza: ciò che lo Stato tocca diventa fango. Breve riassunto dei fatti. Stampa che ti passa, la politica monetaria di moda a Pechino, ha generato un mostro, chiamato Shanghai. Questo mostro è cresciuto nell’ombra, sfruttando un ben noto meccanismo generato da mercati torbidi: si innesca una crescita veloce, apparentemente inarrestabile e molto più rapida e redditizia di qualsiasi altra cosa generata dall’economia reale. In realtà, la crescita non è reale, come non lo è la moneta che la sostiene. Il problema è l’illusione che la moneta fiat, quella che viene stampata senza alcuna vera contropartita, abbia un valore intrinseco. La realtà, purtroppo, è molto più complessa. Di sicuro la sovrabbondanza di carta straccia genera comportamenti aggressivi, persino insensati. Si prende a prestito denaro solo per investirlo. Cioè per prestarlo. Ovviamente questo ciclo va avanti finchè non partono i realizzi. A quel punto la salita si interrompe, la gente vuole soldi veri in mano, le banche chiedono di rientrare dei prestiti ed il mostro inizia a cibarsi dei suoi adoratori. Ovviamente il Leviatano, lo Stato Cinese, non ha potuto permettere che il figlio del suo cuore morisse così, affamato dopo il banchetto dei suoi cultisti. Così Pechino ha fatto ripartire la giostra, bloccando le vendite delle società più colpite e cercando di tenere gonfia la bolla. La manovra non sta funzionando. La Cina si è impegnata. Nel senso vero del termine, si sta impegnando letteralmente l’oro per dare liquidità alle imprese. Ma è fatica sprecata. Il vero problema è altrove.

Il problema è che l’economia Cinese non tira più. Tempo fa commissionai ad una brava studentessa di economia Padovana uno studio sul rapporto stipendi Pil. Quello che ne venne fuori fu davvero interessante. All’aumentare dei salari (e delle conseguenti tasse sugli stessi), il Pil scende. Il problema è molto semplice: più io forzo l’imprenditore a pagare l’operaio, meno il prodotto conviene e viene venduto. Il fatto che l’operaio sia più ricco avvantaggia esclusivamente i paesi che producono spendendo meno. O, se vogliamo essere meno tranchant, non è affatto vero che il consumo interno tiene in piedi un’economia emergente. Il postulato di questo ragionamento, è che la locomotiva Cinese deve avere le stazioni occidentali per avere un senso. Ma, man mano che diventa più cara, perde quote di mercato in favore di nuovissimi paesi emergenti, come il Vietnam. Il grande problema è che, se Washington può cavarsela con una crescita del 3% annuo, Pechino con numeri del genere trema. Trema perchè il suo sistema finanziario fortemente immaturo non può reggere condizioni del genere. Trema perchè, non essendo un mercato libero, lo Stato è costretto ad intervenire. E così facendo peggiora solo le cose.

Se lo Stato potesse lasciar fare, le perdite ci sarebbero e sarebbero dure, ma nel medio periodo verrebbero metabolizzate. Ma più interviene, meno la situazione diviene stabile. Soprattutto  perchè l’instabilità è dovuta ad un surplus di offerta monetaria. E quando il governo interviene lo fa col portafoglio in mano. Insomma, si cerca di curare un’overdose di eroina, con ulteriori oppiacei…

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