Il Cocoricò chiude: non è questa la via giusta nella lotta allo spaccio

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Milano 9 Agosto – La morte di Lamberto Lucaccioni ha squarciato l’estate e regalato notti insonni ai genitori di adolescenti, forse ai genitori in generale. Era andato a ballare al Cocoricò di Riccione, un simbolo, il posto di cui raccontare e vantarsi per buona parte dell’anno scolastico. Aveva sedici anni e s’è spento per un overdose di ecstasy. Atroce. Ed eccola, la reazione: la discoteca chiuderà i battenti per 120 giorni, quattro mesi, che cadono nella stagione con cui l’azienda campa tutto l’anno. «Il provvedimento ha lo scopo di fornire tutela ai minorenni – si legge in una nota della Questura di Rimini -, persone certamente più fragili e vulnerabili rispetto alle altre e, per tale motivo, soggette ben più di altre a sfruttamento ed abusi da parte di altri soggetti».

Un provvedimento sbagliato per più ragioni. Il problema delle droghe nelle discoteche esiste da sempre, nei ruggenti Ottanta non era considerato tale, specie in certa Milano bene. Le cose negli anni sono cambiate. Nei locali non si fuma più e la sicurezza degli stessi lotta lo spaccio senza esclusione di colpi (certo, a volte più a volte meno a seconda della proprietà). Buon cuore ed etica? Non sempre, spesso banale business: evitare ad ogni costo la chiusura è un obbligo. Incidenti anche meno drammatici di quello che ha coinvolto Lamberto sono comunque una pubblicità estremamente dannosa. Nessun locale imbocca a cuor leggero quella via. All’interno dei locali la roba, s’evince, gira comunque, o perlomeno la gente fatta, obiettano i più. Vero. Come nelle scuole, nei parchi per famiglie, agli angoli delle strade. Questo elimina la responsabilità dell’attività? Di questo risponde lo Stato in continuazione? No. Qui non si sta dicendo che deve venir meno la responsabilità di chi gestisce i locali ma se si accerta che tutte le regole sono state seguite e che non era un membro dello staff del Cocoricò a spacciare, o se non si accerta il contrario, si può davvero sostenere che il proprietario di un locale debba sapere cos’ha in corpo o in tasca ogni singolo cliente?

Lamberto la droga pare, gli accertamenti sono ancora in corso, se la fosse procurata fuori dal locale. Avrebbe potuto scegliere una discoteca diversa, fosse andata così, sarebbe crollato allo stesso modo su un’altra pista da ballo. Allora quattro mesi di chiusura per il Cocoricò non lottano la droga, non fermano lo spaccio, non puniscono una gestione disinvolta con gli stupefacenti. Colpiscono il simbolo, il nome noto, rispondono ai media che il nome della discoteca l’hanno sbattuto ovunque. Questo provvedimento risponde alle paure dei genitori, con manciate di populismo. La droga non la ferma e soprattutto non lede ai responsabili della morte di Lamberto.

Il prefetto di Rimini, Giuseppa Strano ha dichiarato che «ciò che è accaduto al Cocoricò, con la morte di un giovanissimo, è qualcosa che non si deve ripetere. In generale va aperta una riflessione a cui sono chiamati tutti, le famiglie, le istituzioni, gli educatori, le confessioni religiose perché si è passato il segno. È un problema principalmente di valori». Il Codacons vorrebbe pene ancora più severe e il sindaco di Riccione Renata Tosi plaude a un’azione «esemplare così come avevamo auspicato».

Ma nessuno spiega come il provvedimento (adottato in base all’articolo 100 del Tulps) impedisca che questa tragedia si ripeta. È stato dato l’esempio, punirne uno per educarne 100. Nessuno spiega come si sarebbe potuta evitare la morte di Lamberto. Nessuno parla di responsabilità individuale e nessuno dice che se davvero la droga non è stata comperata all’interno del locale, il locale difficilmente avrebbe potuto impedirgli di prenderla. E si chiude un’attività commerciale per lavarci la coscienza dall’ennesima morte di un ragazzo per droga. Ma a Riccione, nonostante la stretta di Carabinieri e Polizia locale che stanno rivoltando la Riviera, non sarà cambiato molto. E questo lo sanno il questore, il sindaco, i proprietari del Cocoricò (che faranno ricorso) e i genitori di quei ragazzi che vanno a ballare. Una scelta miope, che uccide un’attività commerciale la quale durante una crisi che non conosce pietà era ossigeno, indotto per fornitori e dipendenti. (L’intraprendente)

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