Milano 11 Agosto – I numeri a volte raccontano la verità. Spesso non tutta o solo quella fredda e incomprensibile delle percentuali. Eppure, per mettere a fuoco il danno economico che l’Italia sta subendo con la decisione di partecipare alle sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin, bisogna guardare anche ad essi.
E allora si può partire da una data, il 31 luglio del 2014. Il giorno in cui, dopo una prima trance di sanzioni emesse a marzo, l’Unione Europea ha deciso di inasprirle in maniera determinate. Il resto è storia: parte dalle contro-sanzioni di Putin del 7 agosto del 2014 e arriva alla decisione dello scorso 18 giugno dei leader europei di continuare la contrapposizione diplomatica ed economica alla Russia. Contrapposizione cui il Cremlino ha risposto il 22 dello stesso mese con la proroga dei suoi decreti che colpiscono le importazioni di diversi (e dettagliati) prodotti. L’interscambio tra Mosca e le capitali europee sarà così claudicante fino al 2016.
Le sanzioni dell’Europa prevedono una lista di 151 persone e 37 società cui è fatto divieto di viaggiare in territorio europeo e di avere rapporti economici con Stati Ue. Con il regolamento 833/2014 del luglio dell’anno scorso, l’Europa ha introdotto restrizioni operative nei confronti di banche e rami finanziari russi, di società energetiche e di difesa. Inoltre, ha sospeso i programmi di finanziamento alla Russia già avviati dalla Bei e dalla Bers, ha imposto l’embargo sulle tecnologie di esplorazione petrolifera e il divieto di esportazione in Russia di merci e tecnologie a uso civile e militare. Le contromisure russe, invece, sono maggiormente particolareggiate e vanno a colpire i settori dell’import che la Russia intende sostituire con prodotti di propria fattura. Ad esempio, i prodotti alimentari come le carni bovine e suine, il pollame, il pesce, i formaggi, latticini e la frutta e la verdura. Poi, ad agosto 2014, il governo russo ha vietato alle amministrazioni pubbliche e agli enti soggetti a controllo pubblico l’acquisto dall’Europa di tessuti, calzature e capi di abbigliamento. Infine, Putin ha posto sotto condizioni anche l’esportazione all’estero di semilavorati di pelle. Cosa c’è dietro questi decreti dell’Unione Europea e del Cremlino? Ci sono le imprese. E il dramma maggiore riguarda il settore agroalimentare. In questo caso occorre citare due tipologie di danni: quelli diretti, dovuti al calo delle vendite verso la Russia, e quelli indiretti, che riguardano operazioni di triangolazione commerciale (prodotti che prima di giungere in Russia passavano per la Francia e la Germania). I danni diretti sono stati quantificati dall’Istat e dalla Dogana russa e riportati dettagliatamente nel documento dell’Agenzia ICE Mosca. Per quelli indiretti, invece, i numeri sono maggiormente aleatori a causa della ridotta quantità di dati a disposizione.
L’export italiano verso la Russia ha avuto un crollo nel 2014 (solo 6 mesi di sanzioni) dell’11,6%. E le rilevazioni statistiche compiute a gennaio del 2015 parlano di un calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del 36,8%. Traducendo in milioni le percentuali, si parla di una perdita per le aziende italiane di un miliardo nel secondo semestre dell’anno scorso, un conto oggi già salito a 5 miliardi di euro. Se si guarda all’intera Europa poi, la somma arriva a 100 miliardi di euro. Il gioco vale la candela? A sentire le aziende no. E si capisce. Se da una parte l’interscambio italiano con Mosca si riduce, c’è chi può stare più tranquillo. Nel 2014, infatti, tra i Paesi occidentali quello che ha pagato il conto più caro di tutti (in termini percentuali) è proprio l’Italia. Gli Stati Uniti, invece, hanno visto aumentare il loro interscambio con la Russia del 5% e alcuni Paesi, tra cui la Cina (-1,4%), hanno frenato i loro scambi solo di qualche milione di euro. Se si guarda poi ai numeri delle importazioni che la Russia fa dai Paesi stranieri, si può notare che Mosca nel 2014 ha acquistato dagli Usa 1 miliardo e 400 milioni di beni in più rispetto al 2013, per un incremento percentuale che si aggira intorno al 12%. Come detto, nello stesso periodo l’Italia ha perso quasi la stessa cifra (-11,6%) di vendite verso la Russia.
Un altro degli effetti delle sanzioni è il rallentamento dell’economia russa. Non quanto sperato dall’Occidente – in verità – ma sufficiente per colpire a sua volta le esportazioni dell’Europa in generale e dell’Italia in particolare. I russi hanno visto ridotto il loro potere d’acquisto (anche in conseguenza della svalutazione del rublo che è arrivata al 40%) e per questo hanno cominciato a guardare ai prodotti italiani come a beni di lusso che non possono più permettersi. Il calo dei consumi russi, infatti, è uno di quei fattori, causato dalle sanzioni, che ha generato ingenti perdite anche alle aziende italiane i cui prodotti non sono stati colpiti dall’embargo, ma che si sono trovate a dover lavorare in un mercato con meno denaro in circolazione.
Tra il 2013 e il 2014 tutti i settori di commercio con la Russia hanno risentito di una forte riduzione. I produttori di beni agroalimentari hanno dovuto rinunciare al 12% delle esportazioni, la moda ha perso il 15% e la meccanica l’11%. Per entrare nel dettaglio dell’agroalimentare, i produttori di ortofrutta hanno risentito di un calo del 22,5% delle importazioni fatte dalla Russia: ovvero 30 milioni di euro solo nel 2014 e ulteriori 44 a gennaio del 2015, tali da portare a zero l’export in questo settore. Per le mozzarelle e i formaggi, invece, il calo è stato del 34% con -20 milioni di fatturato. Infine, le carni fresche e lavorate: in questo caso i produttori italiani si sono visti scippare da sotto il naso 50 milioni di euro (-65,3%). In tutti questi campi produttivi, se si prendono a riferimento i dati di gennaio 2015 in relazione allo stesso periodo del 2014, le riduzioni delle esportazioni vanno dall’88% al 100%. Numeri strazianti. E cosa ha fatto l’Europa per riparare al danno? A metà 2014 ha messo a disposizione delle aziende ortofrutticole europee la miseria di 125 milioni di euro per misure come il ritiro dal mercato per la distribuzione gratuita e il risarcimento per la mancata raccolta. Inoltre, sono stati stanziati aiuti per i formaggi fino ad un massimo di 155.000 tonnellate, mentre per i produttori di carni nessun finanziamento a titolo risarcitorio è stato ancora previsto. Come in tutte le cose, qualcuno sembra guadagnarci: il Brasile (+600 milioni, +25,5%) e Cina (+100 milioni, +15,9%) continuano a inviare merce da vendere in Russia e sono Paesi cui ora Mosca guarda con enorme interesse. C’era da immaginarselo: le sanzioni sono state un danno. Per noi.
Giuseppe De Lorenzo (Il Giornale)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845