Milano 24 Agosto – Dalla distruzione delle antiche mura di Ninive, in Iraq, alla decapitazione dell’ex direttore di Palmira in Siria, Khaled al Asaad, per arrivare, oggi, alla demolizione del monastero di Mar Elian. Quella dell’Isis è una guerra contro la cultura. Anche se i jihadisti sembrano pronti a fare eccezione per i reperti che possono saccheggiare e vendere sul mercato nero internazionale per autofinanziarsi.
I primi a fare le spese della furia distruttrice dello Stato islamico furono nell’estate del 2014 chiese e moschee a Mosul, in Iraq. Non solo le moschee degli sciiti, considerati apostati dai sunniti dell’Isis, ma anche luoghi venerati sunniti, soprattutto della corrente mistica Sufi, come il mausoleo di Ahmed al Rifai e la cosiddetta Tomba della Fanciulla (Qabr al Bint). I jihadisti affermarono che questi luoghi erano meta di pellegrinaggi, e quindi di “idolatria”. Una pratica aborrita dallo Stato islamico tanto più quando un’unica tomba era visitata da fedeli sia musulmani sia cristiani. Un’abitudine per lungo tempo in uso a Mosul, per esempio alla moschea del profeta Giona e alla presunta tomba del profeta Daniele, anch’esse fatte saltare in aria.
Via le croci
Pratica comune dei miliziani dell’Isis nei territori sotto il loro controllo è quella di far rimuovere le croci dall’esterno delle chiese e di non far suonare le campane. Mentre sulle distruzioni vi sono state spesso voci contrastanti. Fonti locali, per esempio, hanno smentito lo scorso marzo parlando con l’agenzia Fides la notizia che si era diffusa secondo la quale era stato distrutto, sempre a Mosul, l’antico monastero di San Giorgio. Anche se la facciata è stata sventrata percancellare la croce disegnata dalla disposizione dei mattoni e delle aperture ed e’ stato devastato l’adiacente cimitero. A partire dal gennaio di quest’anno un crescendo di notizie drammatiche è arrivato dall’Iraq: parte delle mura dell’antica Ninive fatte saltare con l’esplosivo, devastazioni nelle città assire di Nimrud e Hatra, picconate per distruggere le statue esposte nel museo di Mosul, alcune delle quali, tuttavia, erano evidentemente repliche in gesso.
L’orrore a Palmira
In maggio, la conquista di Palmira da parte dello Stato islamico ha fatto temere che tali scempi si ripetessero ai danni delle rovine romane dell’antica città siriana. Ma si è avuta notizia ‘solo’ delladistruzione di una statua del I secolo avanti Cristo raffigurante la dea preislamica Al Lat sotto forma di leone. Cio’ che a Palmira ha suscitata più orrore invece, sono state la decapitazione di Asaad e le pubbliche esecuzioni di soldati siriani ad opera di adolescenti nell’anfiteatro romano. Gli uomini del Califfato hanno detto in luglio di avere distrutto alcuni busti romani provenienti proprio da Palmira trovati in possesso di un contrabbandiere. Ma l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) ha affermato che erano dei “falsi”, sospettando che si trattasse di una messinscena proprio per coprire un lucroso traffico illegale organizzato dagli stessi jihadisti.
Il saccheggio
Molti esperti del settore denunciano esportazioni di reperti saccheggiati dall’Isis che in questa attività, portata avanti con mediatori ed acquirenti anche occidentali di pochi scrupoli, avrebbe trovato una importante fonte di finanziamento, accanto alle vendite del petrolio estratto dai pozzi conquistati. Nel giugno scorso il ministero del Turismo e delle Antichita’ di Baghdad ha detto di avere intrapreso un’azione legale per bloccare la vendita di reperti iracheni in un’asta di Christie’s a New York. “Rivolgiamo un appello a tutti i Paesi – ha affermato il ministero – perche’ pongano fine ai commerci di antichita’ irachene, nel rispetto delle risoluzioni internazionali”. (ANSA)
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