Milano 28 Agosto – L’estate sta finendo, la poca credibilità di Poletti se ne va di dichiarazione in dichiarazione. Il tema sono i risultati del Jobs Act. Due giorni fa si era parlato di più di mezzo milione di contratti, qualcosa come 630.000 nuovi contratti a tempo indeterminato. Boom. Entrino siori e siore, più gente entra più bestie si vedono. Ovviamente la cifra era apparsa sospetta fin dall’inizio. Passano nemmeno 24 ore ed una nota del Ministero del Lavoro spiega che qualcuno ha riportato male qualche cifra. Un piccolo errore di sbaglio. I nuovi posti di lavoro sono 315,000. Frutto, peraltro, in molti casi, di conversione di contratti a termine in contratti a termine che hanno un nome Inglese, un sapore meno alle vongole ed un futuro altrettanto incerto. Tutta la legge si basa, infatti, sull’equivoco che basti togliere la data di scadenza ai contratti perché questi durino di più. E’ il solito, trito, tentativo di interferire col mercato che trasforma un’idea di buon senso e ragionevole in una colossale presa per i fondelli. Facciamo un passo indietro: l’articolo 18 dello Statuto dei lavori, retaggio di un passato che non esiste più (e che nemmeno al tempo aveva così tanto senso, in realtà) ingessava la competitività delle aziende, rendendo l’assunzione di giovani una scelta al limite del suicida. Era più facile divorziare che lasciare a casa un dipendente. Logica avrebbe voluto che si abolisse questo retaggio, si lasciasse piena libertà di contrattazione e si ricominciasse a trattare il contratto di lavoro per quel che dovrebbe essere: un normalissimo contratto. Invece si è fatta una scelta macchinosa, fortemente discriminatoria ed aperta ad ogni abuso.
Si è deciso che i giovani, e solo loro, avrebbero avuto delle tutele crescenti. Ovvero, sarebbero stati comunque licenziabili dall’azienda, ma in caso un compagno in toga avesse ravvisato un ingiusto motivo (come se le toghe non avessero mai abusato di questa definizione) gli sarebbero state riconosciute mensilità di risarcimento in misura crescente a seconda degli anni di lavoro. Per i vecchi assunti, invece, nulla sarebbe cambiato. Ma proprio nulla. Non sia mai che si smetta di fare a figli e figliastri in questo paese. Per spingere ad usare il nuovo strumento si è deciso di detassare le nuove assunzioni. E qui è partita la corsa all’ora con conversioni di contratti a piovere. Anche alcuni a tempo indeterminato. Che, più che convertiti, venivano direttamente uccisi e resuscitati. In questa girandola non si è mai riusciti realmente a capire quanti contratti nuovi ci fossero. Probabilmente la cifra è positiva, ma i numeri non sono affatto stupefacenti. D’altronde, il nodo reale del problema non è stato nemmeno lontanamente affrontato.
Le assunzioni del Jobs Act sono pensate per grandi aziende. Per le medio piccole le cose non sono cambiate moltissimo. E le grandi imprese, in Italia, hanno alcuni problemi un po’ più pressanti da risolvere. Oltre al fisco assassino, abbiamo un diritto del lavoro bizantino con Corti sempre fortemente schierate con il lavoratore e sindacati rapaci. Oltre ad avere dei giudici con uno spiccato gusto per il sangue di imprenditore, che amano espropriare, far fallire e distruggere l’industria. Si veda il caso Ilva. Sempre a tacere del fatto, che fare impresa in Italia è impossibile senza il beneplacito della politica. Si veda il caso Esselunga. In sostanza, le assunzioni in un paese di bari sono impossibili, almeno fino a quando i croupier con i conflitti di interessa non smetteranno di dare le carte. Ed i numeri.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,