Ma l’euro reggerà all’onda dei Migranti?

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Milano 12 Settembre – Ma l’euro reggerà all’onda delle migrazioni? La domanda diventa sempre più urgente, vista la sequenza delle notizie offerte dall’attualità. La Danimarca ha bloccato i collegamenti con la Germania, poi li ha riaperti ma senza rinunciare alla schedature dei nuovi arrivati e alla minaccia di rispedire gli ospiti indesiderati in Germania. L’Austria ha fermato i treni con l’Ungheria, con l’alibi di non aver sufficiente materiale rotabile a disposizione, e al momento non è ancora chiaro se e quando i collegamenti saranno ripristinati. marcia profughiLa Gran Bretagna dapprima ha bloccato le frontiere, lasciando migliaia di clandestini sulle scogliere di Calais, poi le ha riaperte ma in maniera molto selettiva. Sullo sfondo l’opinione pubblica del Regno Unito sempre più nervosa, che al referendum del 2017 potrebbe essere indotta a votare per l’uscita della Ue. Nel frattempo si avvicinano scadenze elettorali importanti: il voto in Catalogna del 27 settembre, da cui si capirà la forza dei movimenti autonomisti, e prima ancora le politiche in Grecia, dove Tsipras ha cambiato bandiera e oggi si presenta come difensore dell’Euro. A seguire le elezioni a Madrid e in Portogallo. Tutto questo per dire che nell’arco dei prossimi quaranta giorni avremo un quadro politico più definito dell’attuale, probabilmente molto diverso.

Un quadro in cui il destino dell’euro si intreccia con quello delle migliaia di migranti che stanno arrivando in Europa, con il rialzo dei tassi d’interesse Usa ad aggravare la situazione con il bagaglio di instabilità per i mercati e la moneta unica.

Inutile negare la realtà: in questa prospettiva i destini della moneta unica saranno sempre più intrecciati con il flusso di immigrazione clandestina. La politica delle frontiere aperte, come abbiamo già spiegato, favorisce solo la Germania, che ha una popolazione che invecchia rapidamente e un sistema produttivo vicino alla piena occupazione, in cui l’arrivo di capitale umano fresco e desideroso di entrare nel ciclo produttivo è quello che serve per tenere il vantaggio.

Ma il resto d’Europa, dove già ci sono ventiquattro milioni di disoccupati, come reagirà? La riposta fra quaranta giorni.

Blog Ernesto Preatoni

 

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