La ripresa che non c’è, perché solo l’automobile evita il disastro

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Milano 15 Settembre – Ha cantato vittoria per la produzione industriale che a luglio ha segnato un +1,1% rispetto al mese precedente. Ma Renzi più che ringraziare i suoi tecnici di governo e gli italiani, che avrebbero iniziato a spendere e dunque a motivare le imprese a spingere le attività produttive, deve rivolgere il suo ringraziamento a Sergio Marchionne. Che gli ha fornito un bell’aiutino. Analizzando il dato Istat, infatti, si evince secondo Unimpresa che «la crescita della produzione industriale registrata a luglio è drogata da un aumento, probabilmente non ripetibile nel medio-lungo periodo, del settore auto. Da luglio 2014 a luglio 2015, l’automotive è salito addirittura di oltre il 20% spingendo la produzione industriale complessiva al 2,7%. Senza questo boom della fabbricazione di mezzi di trasporto – legato all’incremento delle immatricolazioni di nuovi veicoli degli ultimissimi mesi, arrivato dopo un lungo periodo di stop negli acquisti da parte di cittadini e imprese – la produzione industriale sarebbe rimasta a livelli decisamente più bassi».

Confermando la grande dipendenza del sistema manifatturiero dal settore dell’auto, dunque, per ora il cero di ringraziamento lo si deve accendere a Marchionne più che al premier. Grazie al manager le fabbriche nazionali sono state, infatti, rimesse al centro della scelte produttive della Fca, la Panda è stata riportata nei siti della Campania, Melfi è ormai diventata americana con la produzione della Jeep, e presto anche Mirafiori comincerà a sfornare più auto che nel passato. Una strategia che ha rimesso in moto gli impianti per i quali è previsto il pieno utilizzo nel 2018. L’associazione ha ben ribadito che «le variazioni positive più rilevanti sono state registrate nei comparti della fabbricazione dei mezzi di trasporto (+20,1%), della fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+12%) e della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+11,7%). Mentre Alcune aree, invece, soffrono di più e hanno fatto segnare un calo: si tratta dei comparti dell’attività estrattiva (-5%), della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (-2,4%) e della fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (-0,8%). Anche un settore qualificante per l’economia nazionale come quello dei prodotti chimici ha evidenziato un segno negativo: -0,7%).

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Morale della storia. «I numeri vanno letti fino in fondo e prima di esultare come se fossimo ormai fuori dalla crisi e in piena ripresa bisogna ragionare. La crescita dell’auto è importante, anche per tutto l’indotto che quel settore genera, ma quella registrata è certamente frutto di periodi di fermo del 2014 e degli anni precedenti» ha spiegato il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi che ha aggiunto «ecco perché il governo di Matteo Renzi deve spingere tutta l’economia italiana e deve farlo con un piano serio volto alla riduzione del carico fiscale: tra poche settimane conosceremo il contenuto della legge di stabilità e allora vedremo se le promesse saranno mantenute».

Dunque lungi dall’essere annoverati nella banda dei gufi va segnalato che il clima di fiducia positivo che si respira, più nei piani di acquisto delle imprese che nelle famiglie, è determinato da una serie di fattori esogeni e cioè del quadro macroeconomico internazionale come il basso costo del denaro (grazie all’azione di Mario Draghi), il prezzo del petrolio ai minimi termini da mesi e la svalutazione dell’euro contro il dollaro (in parte fermata dal deprezzamento dello yuan cinese) ma che ha comunque aiutato le merci europee a conquistare spazi all’estero.

Una serie di condizioni che difficilmente si ripresenteranno e un momento irripetibile nel quale l’azione del governo è nei fatti abbastanza fiacca. Di grandi progetti infrastrutturali si parla molto, ma non c’è ancora una sola pietra messa che non sia quella che arriva dalla normale attività di amministrazione che marcia da sola indipendentemente dalla pressione politica. Per il Sud il lavoro di Renzi si è fermato a un ipotetico masterplan da annunciare prima della legge di Stabilità e di cui non c’è nemmeno l’ombra. L’occasione per la sua presentazione poteva essere l’inaugurazione della Fiera del Levante di Bari, ma il premier ha preferito volare in America per la finale di tennis tra la Vinci e la Pennetta, in barba ai governatori del Sud che, giunti in Puglia sperando di udire qualcosa per i loro territori, i sono dovuti accontentare del sottosegretario De Vincenti con i quali avevano avuto un colloquio solo qualche giorno prima. In tutto questo sebbene si attenda il taglio delle tasse come l’acqua nel deserto, non una sola parola è stata spesa finora per aumentare le voci di spese in conto capitale nella manovra imminente. Insomma la ripresa per ora è ancora solo una parola nei desidarata di Renzi.

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Contratti indeterminati spinti dagli sgravi fiscali Senza lavoro al 12%

Pressione record al 43% E lo Stato continua a spendere allegramente

Filippo Caleri (il Tempo)

 

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