Milano 20 Settembre – Dal lone wolf alle muslim gang ? L’Isis prospetta davvero il superamento della figura del lupo solitario per passare progressivamente a vere e proprie piccole bande di islamici reclutate sul posto nei vari paesi dove diffonde il proprio credo fondamentalista e deviato? Secondo gli investigatori della Digos di Milano, in realtà, non possiamo aspettarci che spariscano i bracci armati finora più efficaci dell’Isis, i bombaroli «autodidatti», decisi a far scoppiare qualche ordigno fai da te in un luogo qualsiasi per creare terrore e sgomento in nome del Califfato.
Come stava per accadere, per intenderci, in Francia alla fine di giugno in un impianto del gas industriale poco lontano da Lione per mano di un marocchino dipendente della società (che ha però ammazzato il suo capo reparto e ferito due colleghi, ndr ) o nel Bresciano dove un pakistano e un algerino (arrestati appunto dagli investigatori milanesi a luglio) progettavano di colpire la base militare di Ghedi.
«Non ci aspettiamo certamente che i cosiddetti lone wolf scompaiano – spiegano -, ma piuttosto crediamo in un affiancamento con le gang, in maniera che entrambe le figure riescano a esprimersi al meglio. Del resto l’Isis si presta, con la propria produzione pressoché sterminata e continua di manualetti dal linguaggio semplice e immediato – ad arruolare tra le proprie fila sia personaggi che preferiscono agiscono da soli o al massimo in due, sia piccole bande di infervorati».
Proprio leggendo i manuali di reclutamento bande del Califfato in formato e-book s’intuisce come questo genere di soggetti faccia di tutto per passare inosservato e, pur di non dare nell’occhio, non temano di vivere isolati, abitando in zone poco appariscenti per non dire decisamente inospitali. Inoltre non hanno pregiudizi su chi convertire. In Gran Bretagna puntano ai detenuti o comunque a persone che versano in condizioni di vita misere, gente consapevole di non poter ambire a posizioni sociali ed economiche di alto livello e che possono trovare nella conversione all’Islam un riscatto da un’esistenza da reietti.
«Non dimentichiamo che anche il loro linguaggio accattivante, diretto, fa sembrare un’apparizione su internet come un evento di enorme portata per persone semplici e che si sentono escluse dalla cosiddetta “società del successo“» spiegano gli investigatori.
Finora a Milano le inchieste si sono concentrate sulla famiglia di Maria Giulia Sergio, la Fatima che col lavaggio del cervello jihadista ha fatto finire dietro le sbarre padre, madre e sorella residenti a Inzago e su Bikri e Wassad, il tunisino e il pakistano determinati a compiere azioni terroristiche nei luoghi che avvicinavano attraverso il loro lavoro, come appunto la base militare di Ghedi. Quello che gli investigatori milanesi non dicono è che ci sono altre persone «attenzionate» come possibili foreign fighter . Non sono molte e la dirigente dell’Antiterrorismo Cristina Villa, in una intervista apparsa ieri sul nostro quotidiano, ha spiegato che a Milano e provincia la situazione è particolarmente controllata. Tuttavia, come ha documentato il settimanale L’Espresso, sono di Vimodrone i due giovani operai italiani partiti per la Siria a gennaio.
«Per il reclutamento bisogna far leva su tutto il possibile appeal che la guerra santa può avere – leggiamo in un manuale -, enfatizzando la grande considerazione in cui vengono tenuti tutti coloro che combattono per cancellare l’oppressione (di altri religioni, ndr ) e fare di Allah la massima guida sulla terra. Abbiamo le registrazioni di azioni di guerra santa spettacolari che i Mujahidin possano utilizzare per convertire coloro che desiderano donarsi per difendere il Califfato».
Paola Fucilieri (Il Giornale)
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