Milano 4 Ottobre – Marco Dapino, fotografo milanese, classe 1981. Già dal 2010, ai tempi di mostra collettiva in una galleria di via Cerano, aveva intrapreso un percorso di ricerca fotografica dai tratti delicati, ma ben inquadrato in una certa razionalità. Cinque anni dopo, quella galleria è stata riconvertita in negozio d’abbigliamento; Marco invece continua la sua produzione fotografica, alternandosi tra progetti di ricerca personali e lavori commerciali. Qui presentiamo Suburban Streets, parte della sua serie Transport.
Sei nato e cresciuto a Milano, che tipo di sguardo hai sviluppato sulla città?
Mi piace scoprire Milano di sera e di notte, quando le strade sono vuote e non c’è nessuno in giro: penso di avere uno sguardo decisamente crepuscolare. E’ difficile che riesca a ritrarla di giorno, forse proprio perché la conosco troppo bene ma anche perché trovo ci siano troppi elementi di disturbo: traffico, rumore, persone, auto ovunque.. mentre di sera, con i tempi diluiti e le pose lunghe, tutto si cristallizza e riesco a ripulire il paesaggio che mi circonda, arrivando ad un’essenzialità più diretta. Sicuramente il mio percorso formativo (laurea al Politecnico in Disegno Industriale e diploma alla Bauer in Fotografia) mi ha lasciato un approccio progettuale rigoroso che a volte sento di volere abbattere: faccio fatica a fotografare se non ho una griglia mentale, uno scopo, anche se nelle fasi iniziali seguo molto il mio istinto. Faccio sopralluoghi, studio gli spazi e la luce e lascio lavorare l’inconscio poi, quando il progetto prende forma, è lì che la mia parte razionale sopraggiunge e riordina le idee. Preferisco fotografare in notturna perché c’è una sorta di trasfigurazione del paesaggio, come conSuburban Streets: abbiamo dei cavalcavia, dei raccordi stradali, che non sono certo un bel vedere.. . non c’è una stratificazione storica, né abbellimenti estetici, è pura ingegneria funzionale. Qui il disegno della luce, il segno delle scie, il movimento, riempiono gli spazi vuoti e li abbelliscono, diventano elementi integranti del paesaggio.
In tutta la serie Transport e in particolare nel progetto Suburban Streets è protagonista la luce come movimento: come vivi la staticità della fotografia ? E ti sei mai confrontato con il dinamismo del video?
Il concetto di movimento è molto presente in questo progetto, ma anche in tutto il mio lavoro, perché genera qualcosa di nuovo: una volta posizionata la macchina sul cavalletto e fatta l’inquadratura, lascio che le cose accadano intorno a me. Questi cavalcavia sono come dei mostri, che grazie alla presenza della luce, prendono vita e si animano. Durante una mostra del progetto Transport alla Fabbrica del Vapore di Milano, decisi di arricchire l’allestimento con fotografie trasmesse su vecchi televisori a tubo catodico dove tutto il materiale prodotto durante la fase di scatto venne montato su più livelli e, pur mantenendo un’impostazione di staticità fotografica, si potevano notare le scie di luce emergere lentamente, prendendo forma e modificando il paesaggio circostante in modo rarefatto.Questo è un aspetto della composizione che mi interessa molto: una situazione statica, ferma, quindi fotografica, all’interno della quale le cose succedono, con un movimento quasi impercettibile ad un occhio distratto. Uno dei motivi che mi ha spinto ad avvicinarmi alla fotografia è la mia passione per il cinema di autori come Peter Greenaway. I suoi primi lavori con il d.o.p. Sacha Vierny hanno veramente cambiato il mio modo di vedere. In quanto al video: non mi sono quasi mai confrontato per progetti personali, solo ogni tanto per lavoro, ma mi piacerebbe cimentarmi in futuro.
Si può dire che hai fatto della città il teatro principale della tua indagine fotografica: stai lavorando a qualche nuovo progetto su Milano?
Sì, sto proseguendo la mia indagine su Milano al crepuscolo, tra qualche mese infatti uscirà un nuovo progetto con una mostra. Quello che mi stimola a fotografare sono la luce e il momento: il crepuscolo d’inverno, per esempio, è in pieno pomeriggio, quando la città freme ancora ed è in grande attività. Il trucco qui sta nel far defluire nella mia immagine quella particolare atmosfera che dura solo pochi minuti, e anche se intorno sta succedendo il caos, una volta che sono lì resto fisso, divento il più possibile invisibile e riprendo tutto. Questo nuovo progetto, che ancora non ha un nome, rispetto a Suburban Streets è sicuramente più essenziale, ha meno elementi all’interno delle composizioni. C’è anche da dire che ci sto lavorando da circa due anni e lo sto portando avanti con calma e riflessione, mentre Suburban Streets l’ho fatto in poco tempo. A volte lavorare a progetti con una scadenza ti aiuta a razionalizzare meno e ad arrivare subito al risultato; mentre lavorando a progetti di anni rischi di perderti, di perdere vista il focus iniziale.. altre volte invece è utile perché crei qualcosa di nuovo che evolve man mano che cresci anche tu. Martina Corà (Cultweek)
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