Milano 5 Ottobre – Ha fatto scandalo il coming out, la proclamazione dell’omosessualità, attiva, praticata e sfacciata di Mons. Charamsa. Ma non ha stupito nessuno che stesse seguendo davvero le vicende Vaticane. Magari qualcuno potrà aver simulato una sorpresa di facciata. Ma, ad essere sinceri, era solo questione di tempo. La frase chiave di tutto il discorso è passata largamente inosservata. I giornali erano troppo impegnati a trasformare in rosa un vicenda molto più nera. Charamsa ha dichiarato, quasi subito, peraltro, che la possibilità di sacerdoti omosessuali con famiglia fosse “teologicamente studiata”. Il che è assurdo. Almeno, nei confini del Cattolicesimo. Ma Charamsa non si muove più in quel perimetro, questo è evidente. Allora chi altri sta studiando questa prospettiva? Da chi è protetto? Chi sta usando il Concilio per mascherare un assalto, immane e straordinario per scopi, mezzi e portata alla dottrina Cattolica? Fermiamoci un attimo. I conservatori hanno sempre accusato il Sinodo di essere solo una grande fiera della vanità per consentire al Papa di attaccare le fondamenta della Dottrina. Quella Dottrina che, a parole, Bergoglio difende sempre, ma che insidia nei fatti, nei riferimenti e nei doppi sensi di tanti suoi discorsi. La difesa di questa linea è che il Papa vuole, solo un pochino, non tanto eh, aprire. Poi il resto resta fermo. Ma un po’ bisogna aprire! Lo ha detto anche oggi, no? Le porte delle Chiese devono essere aperte. A tutti. Perchè Charamsa se ne debba sentire escluso è, in effetti, piuttosto difficile da spiegare.
Capiamoci, nessuno ha mai realmente chiesto di chiudere le porte della Chiesa. Solo quelle del Tabernacolo. Tutti possono entrare in Chiesa, a partire dai peccatori. Di più, è per i peccatori che esistono le Chiese, non certo per i Santi. Il vero problema è il Tabernacolo, il Sacro, Il Santo dei Santi. Il ricettacolo della Parola. Qualcuno vuole aprirlo e darlo in pasto al Mondo. Ed al Suo Principe. Sperando che quelle Chiese ormai vuote si riempiano nuovamente. I conservatori, invece, vogliono in Chiesa Monsignor Charamsa. Ma a debita distanza dal Tabernacolo. Perché quella distanza simbolica lo aiuti a colmare quella vera e reale dalla Parola. La Parola che a furia di studiare lui ha piegato ai suoi istinti. Quella parola che lui deve aver visto migliaia di volte piegare, torcere e ridisegnare in nome e per conto dell’ideologia relativista. Quella Parola profanata, venduta e comprata. Quella Parola privata del Sacro. Ecco, questo è il problema. Charamsa è il frutto avvelenato di questo Sinodo, nella sua prima parte. Quando la maggioranza dei Padri approvò una nuova linea di condotta sulla famiglia e la sessualità. Lui crede di essere solo in anticipo. I conservatori credono che sia irrimediabilmente in ritardo. Per non aver capito, dopo quarant’anni, qual sia lo spirito della Chiesa.
Padre Lombardi, in deciso imbarazzo, l’ha cacciato dal Vaticano, lasciando agli organi competenti la cacciata dalla Chiesa. Il vero problema è quale sia l’origine di questo imbarazzo. Qualcuno dice che Charamsa abbia fatto indebite pressioni sul Sinodo. La grande Verità è che, semmai, ne ha svelato retroscena che era meglio restassero celati. In ogni caso quello che vediamo è un fronte progressista che da oggi è meno monolitico e prostrato alla visione Kasperiana di Tabernacoli aperti, come voragini su un Abisso in cui sarebbe meglio non guardare troppo a lungo. Pena illudersi, come Charamsa ha fatto, che la Parola sia solo l’immagine delle nostre vanità.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,