Milano 17 Ottobre – Il tentativo è quello di tornare a essere il partito piglia-tutto, quello delle europee e del 40,8 per cento. Con la legge di stabilità Renzi trova una chiave popolare, copre gran parte delle fasce di elettori e, infatti, lascia alle opposizioni ben pochi argomenti. Si “scopre” a sinistra rinviando le misure sulle pensioni e sulla flessibilità in uscita ma limita (parecchio) i tagli di spesa, provvede con misure ad hoc per le fasce deboli e prova a sedurre la maggioranza degli italiani con il taglio della tassa sulla casa. Insomma, questa manovra è un’operazione in grande di quello che furono gli 80 euro in busta paga prima delle elezioni europee, una trovata elettorale e insieme di politica economica. Perché la manovra esprime una ricerca di consenso in vista delle comunali della prossima primavera ma anche un disperato bisogno di far ripartire la domanda interna, i consumi e quindi alzare il flebile Pil italiano. È tutta qui la scommessa di Renzi. E del resto lui l’ha resa esplicita con lo slogan «il segno più» che lo accompagnerà fino alle elezioni di primavera.
Del resto non è nelle condizioni di ignorare gli appuntamenti con le urne, per quanto limitati alle amministrative, perché anche lui deve scontare il peccato originale di essere arrivato a Palazzo Chigi senza passare dal voto popolare. Dunque, ogni urna aperta è un test di legittimazione necessario, a maggior ragione se al voto, come accadrà in primavera, andranno città come Milano o Napoli, forse Roma, ma anche Genova e Bologna. E con la legge di stabilità, dal punto di vista politico, prepara lo stesso terreno elettorale del maggio 2014. Tant’è vero che le opposizioni ripetono più o meno quello che dissero in quell’occasione. Chi lo accusa di dare una mancia elettorale, chi lo mette all’indice per l’alto tasso di berlusconismo. Da destra a sinistra, non è ancora venuto fuori uno slogan efficace, popolare, contro questa finanziaria.
Sentire Renato Brunetta che accusa Renzi di imitare il Cavaliere è un po’ come se togliesse l’acqua al suo stesso terreno. E rimproverargli di fare una manovra in deficit è come sentire un esponente del partito che fu di Mario Monti piuttosto che di Forza Italia che ha contestato alla radice l’austerity dell’Europa. Insomma, il partito del Cavaliere ha buone ragioni in sé quando attacca la deludente spending review ma che sono pessime dal punto di visto del loro elettorato abituato non al rigore finanziario ma più a politiche espansive fatte a deficit o al taglio delle tasse, come avviene in questa legge di stabilità.
Se la destra è in difficoltà, anche la sinistra non se la passa bene. Dal punto di vista dell’elettorato, l’unico vero fronte scoperto che lascia Renzi è quello delle pensioni. Per il resto, l’area di Fassina, uscita dal Pd, ha ben poco da dire su una manovra fatta in deficit, che è quello che suggeriscono da sempre, e dunque si rifugiano sull’evasione e sull’ingiustizia di un’abolizione della Tasi fatta per tutti e non solo per alcuni ceti. Argomenti che ormai il Pd di Renzi ha totalmente rottamato perché è entrato in una logica di grande partito trasversale e di massa, la forza piglia-tutto che lascia incustodite solo le fasce estreme a destra e a sinistra. Anche la minoranza interna del Pd proverà il suo attacco alla legge di stabilità, si farà portatore del tradizionale logos della sinistra contro l’aumento del contante e per la progressività sul taglio della tassa sulla casa. La sensazione è che in Parlamento non si prepara una battaglia campale.
Lina Palmieri (Il Sole 24 Ore)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845