Milano 18 Ottobre – La Cappella di Teodolinda è tornata al suo antico splendore. Dopo circa sette anni di restauri, viene restituito ufficialmente alla città di Monza il ciclo di affreschi dedicati alla storia della regina dei Longobardi, che cristianizzò i pagani e fece costruire la cappella palatina, dove poi sorse l’odierno duomo del capoluogo brianzolo. Agli interventi ha contributo anche l’ENEA che ha collaborato con il CNR, l’Opificio delle Pietre Dure e altri centri di ricerca al recupero di un’opera d’arte fortemente provata dal tempo.
L’intervento dell’ENEA si è collocato nella fase preliminare di studio, quando è stato eseguito un ampio screening per “caratterizzare” le tecniche esecutive, i materiali originali utilizzati e quelli aggiunti nei passati restauri. Inizialmente sono state realizzate indagini “non distruttive” sull’intera opera, mentre nel corso del restauro sono stati effettuati in laboratorio approfondimenti puntuali su microcampioni. In particolare, è stata utilizzata la tecnica della “fluorescenza X”, nota anche con l’acronimo XRF: irraggiando mediante fasci di fotoni lo strato pittorico e misurando energia e intensità della radiazione di fluorescenza emessa, sono state ottenute informazioni sulla sua composizione e quindi individuati i materiali, come ad esempio i pigmenti contenenti elementi chimici non leggeri.
Le “Storie della regina Teodolinda”, il più ampio ciclo di affreschi di Gotico internazionale in Italia, furono dipinti tra il 1441 e il 1446 dagli Zavattari, famiglia di artisti con bottega a Milano. La serie si compone di 45 scene, su cinque registri sovrapposti, che rivestono interamente i 500 metri quadri delle pareti della cappella a sinistra dell’abside centrale del duomo di Monza. Il degrado nel quale versavano era dovuto principalmente alla natura dei materiali organici di facile deperimento come olio e uovo, che furono utilizzati per la pittura a secco. Inoltre, a partire dal 1700 la cappella è stata restaurata in media ogni cinquant’anni, con tecniche spesso invasive, in cui si preferiva ridipingere e dorare le parti deteriorate piuttosto che sanare a monte le cause del deperimento. L’umidità e i fumi acri delle lampade ad olio e delle candele hanno fatto il resto.
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