Milano 21 Ottobre – Hanno scoperto una casa arruffata, come può essere il cuore quando non conosce la pace. Una casa che snoda ricordi, pezzi di vita, cianfrusaglie inutili per chi ha un’ottica di utilità, una casa estemporanea, a cui il tempo ha dato significato, a cui la libertà ha regalato una bellezza speciale d’identità. La sua casa, quella di Maria, morta di cancro, ieri, nell’anonimato di un ospedale. Sola, dopo una vita di emozioni, di generosità, di intensità. E quel dolore per la morte del marito e poi delle due figlie era la violenza e l’ingiustizia che le divorava l’anima, ogni giorno, ormai da venti anni. Un dolore sulla pelle, negli occhi bistrati di nero, nelle guance bucate dall’indigenza. Aveva cercato il riso complice, la vibrazione di tanti amori, di tante illusioni, masticando la vita con quella carne che voleva amore, ma non bastava mai, non leniva i graffi del cuore. Aveva amato la libertà, incurante dei sussurri, sarcastica e fiera, consapevole del suo fare, vera e generosa. Rincorrendo la carezza, il bacio, l’amplesso, l’affetto. Per quella solitudine che è abisso e dolore. Per quel vuoto che non conosce il limite. Per quella povertà che umilia, ferisce.
Una casa arruffata di chi vive i pensieri e i desideri e i ricordi con il tempo del cuore. E le cose hanno la vita di un’emozione, di un colore, nel disordine di un viaggio non programmato, nell’insicurezza di un desiderio mai appagato. Con la fragilità e la forza di una libertà voluta, assaporata, quasi fosse una ragione di vita, quasi fosse la musica del suo perenne andare.
Hanno detto che abbia sussurrato, prima di morire: “Vorrei vedere ancora il bacio di due farfalle che si amano.”
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano