Milano 22 Ottobre – C’è quella massima, attribuita a Voltaire anche se pare la paternità non sia sua, che dice tutto: «Non condivido la tua idea ma mi batterò a costo della vita affinché tu possa esprimerla». Preso per buono il concetto, indica che la libertà di espressione non è un club a inviti, ma un valore universale che appartiene all’individuo in quanto tale. Se stessimo ciecamente al significato, dovremmo esultare insieme all’intellighentia sinistra per l’assoluzione dello scrittore Erri De Luca dall’accusa di istigazione a delinquere «perché il fatto non sussiste». A opinione, infatti, si dovrebbe rispondere non con le manette, ma con opinione e mezza, magari, nel caso specifico, senza raccogliere la segatura del ’68. Tuttavia, a ben vedere, c’è qualcosa di stonato. Se ripensiamo alle condanne subite da Storace e Bossi per qualche battuta sul Presidente della Repubblica, passate per lo più inosservate. Senza certe grida al martirio, senza quella rete di protezione che siamo soliti sentire dai componenti della gauche in cachemire ogni qualvolta viene messa a repentaglio la libertà personale di uno di loro. A prescindere da persone, colpe e contesti. In quest’ottica l’assoluzione di De Luca, per mesi eroe di certo vippame mobilitato a denunciare l’assurdità del processo, non può che collocarsi in un recinto ben più ampio, in quella sorta di salvacondotto quantomeno etico e morale – e in molti casi anche giuridico – riconosciuto a chi ha fatto parte di una certa storia, magari anche macchiandosi di sanguinario massimalismo, senza mai pentirsi di nulla. Anzi cercando di perpetuarne le tossine ancora oggi. Le parole di Erri De Luca sulla legittimità del sabotaggio della Tav, ad esempio, non furono certo camomilla sulle baldanze di quei gruppi antagonisti che attorno all’infrastruttura ingaggiano da anni pericolosi saggi di guerriglia urbana mandando all’ospedale carabinieri e poliziotti. Ma è una storia che va oltre. Così abbiamo i Cesare Battisti, i vari Curcio e Scalzone chiamati ancor oggi a far da relatori in conferenze universitarie. A contatto, cioè, con i ventenni di oggi, i primi che dovrebbero essere vaccinati dall’eversione. Tutto questo, oggi, viene spacciato per libertà. Ovviamente la libertà a modo loro. Quella di chi crede di aver regolato unilateralmente i conti con la storia, quella che si gira su un fianco e volta le spalle all’altra parte di mondo. Una libertà sottovuoto, pericolosa già di suo quando agisce sulle coscienze. Figuriamoci quando agisce sulla certezza del diritto.
Gian Marco Chiocci (Il Tempo)
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