Ad Austin l’inglese si riconferma campione del mondo: è il tris Gara pazza con 4 safety car. Rosberg sbaglia. Super Vettel: 3°
Milano 26 Ottobre – Volendo possiamo anche metterci qui a far festa. Per Lewis Hamilton campione del mondo per la terza volta, la seconda di fila, vittoria n° 10 dell’anno e numero 43 in carriera.
Possiamo consumarci le dita scrivendo di paragoni illustri finalmente scomodati. Di Ayrton Senna, idolo dell’inglese e ora raggiunto; di Jack Brabham, di Jackie Stewart, Nelson Piquet. E di Niki Lauda presidente onorario di Lewis. Potremmo farlo ma meglio non esagerare. Troppo impietoso il confronto fra lo sport che era la F1 e lo sport che adesso è. E non aiuta il morale nemmeno aprire una breve parentesi nazionalpopolare in chiave Ferrari: perché ad Austin non ci sono stati solo Hamilton, la Mercedes, la solita arrendevole sfiga di Rosberg che alla fine era in testa e però sempre alla fine, ma guarda un po’ l’errorino all’ultimo, non lo era più. C’è stata un’ottima Ferrari, una sola, quella di Seb Vettel a podio, terzo, che dice «ci stiamo avvicinando». Ma poi sarà proprio vero? Perché osservando i ferraristi ci sarebbe da essere felici, ma meglio non illudersi. Motore nuovo, il quinto, e la Rossa comunque e sempre seconda forza. Intanto il prossimo mondiale si avvicina.
Dunque onore a Hamilton che si riconferma. Onore ma non troppo. Perché c’è tanto di esogeno nel suo successo di ieri. Prendi un uragano lungo quasi due giorni, 36 ore di pioggia vera, praticamente niente prove libere, regolazioni delle monoposto spannometriche, qualifiche frettolose svolte poche ore prima del via e per di più monche della Q3 perché pioggia e scarsa visibilità non mollavano la presa. Fatto sta Rosberg in pole e Lewis accanto. Prendi Hamilton che parte a scheggia e spinge largo Nico alla prima curva e pure lo tocca e si invola sull’asfalto zeppo come un mocio. Prendi le sue gomme intermedie che poi si scioglieranno, Ricciardo che fa cose grandi e va temporaneamente in testa e poi litigherà con Vettel e si urterà con Hulkenberg e addio bella gara. Prendi Verstappen che continua a scrivere belle cose sull’asfalto, Rosberg che risorge e però vedrà i suoi secondi di vantaggio disintegrati dopo la prima delle due safety car e comunque darà l’idea di provarci fino all’ultimo. Prendi Raikkonen che proprio non gli riesce di scaldare le gomme dopo i pit e va a sbattere contro le barriere mentre Vettel inanella sorpassi partendo dalla tredicesima piazza dove le regole assurde del nuovo e quinto motore l’hanno precipitato in griglia dopo onesto 5° tempo in Q2. Prendi, soprattutto, due safety virtuali e due safety vere et voilà: ecco il Gp che ha incoronato Lewis campione.
Molto bene. Fanno tre titoli mondiali. Ma, please, non paragoniamo questa F1 a quella di Ayrton Senna e di quegli altri grandi. Limitiamoci ad applaudire e ascoltare Lewis mentre pronuncia le solite frasi. Tipo «non ho parole». Tipo «ringrazio tutti». E vien male pensando all’adrenalina in pista e fuori di quell’altro mondo motoristico, quello dei Valentini e dei Marquez… Quei campioni lì.
Benny Casadei Lucchi
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