Milano 3 Novembre – La farsa-Marino è finita così, con quelli che lui ha definito “26 colpi ma un solo mandante”. I suoi consiglieri l’hanno fatto cadere e nulla è più politico di questo. Ed è così che il prefetto Franco Gabrielli ha nominato il nuovo commissario per la Capitale, Francesco Paolo Tronca, prefetto di Milano che ha guidato l’Expo in questi mesi. Uno che ha le idee chiare su come guiderà il Campidoglio: bisogna applicare il “modello Milano”.
Alt, fermi tutti. Urge chiarire qual è il “modello Milano”, che a qualcuno può venire la bizzarra idea di collegarlo alla giunta Pisapia ma così non è. Il sindaco radical chic per eccellenza ha governato la città della Madonnina occupandosi del centro ricco e borghese e godendo del successo di opere (tutte) avviate da Letizia Moratti, dall’Expo in giù. Non ha risolto problemi strutturali che affliggono la città da un ventennio almeno ( il fiume Seveso annega ancora interi quartieri, per esempio) e non ha impiantato nessun modello di città.
Il “modello Milano” non è e non può essere neppure quello che ha a che fare con la macchina pubblica meneghina, che sarà anche meglio di quella che appesta il resto d’Italia ma che rimane unapiaga, non una risposta. L’unico “modello Milano” reale, tangibile, spendibile e categoricamente da ricalcare è l’unico che il prefetto Tronca non potrà applicare a Roma: quello imprenditoriale.Milano è Milano, ovvero il cuore produttivo del Paese, una città definita dai turisti “quasi europea”, unica sede possibile di Piazza Affari, cravatta d’uno Stivale perennemente in tuta. Milano rimane l’eccellenza, la città in cui venire o da cui partire per fare affari, quella in cui è possibile credere in sé e in un sogno, solo grazie a se stessa, non a chi l’ha governata. Parliamo della città dei Bernardo Caprotti, patron di Esselunga che non molla di un millimetro, che non conosce statalismo o ipersindacalizzazione e per questo è amato come pochi altri dai suoi dipendenti. Che dà lavoro, figlia, ricchezza, fa crescere i territori che grazie a lui conoscono l’indotto. Quei Bernardo Caprotti che non possono essere calati dall’alto, che non hanno fatto carriera nelle prefetture, nel Pubblico, ma che hanno intrapreso.
Milano rimane Milano grazie a chi la abita, ai milanesi, di adozioni o per nascita. Perché se rimani a viverci, qui, è perché milanese lo sei diventato, altrimenti questa terra fatta di Duomo e tram e metropolitane non la capisci e credi sia lei a soffocare te, mentre sei tu a non saper andare al suo ritmo. E i milanesi sono quelli che lavorano, e non è vero che questo significa non vivere, che costruiscono, che non perdono tempo appesi all’inutilità del cavillo. Che a fine giornata bisogna aver fatto ciò che va fatto, perché nessuno pagherà per te, come avviene a Roma. Lo Stato qui ruba, in modo inclemente, ingiusto, vorace, non elargisce, mai.
Milano è Milano grazie all’impresa che compensa e scavalca i limiti di uno Stato insufficiente, inadeguato, ingiusto. Perché fa da sé e compete col mondo nonostante l’Italia, il residuo fiscale, i debiti dello Stato con le imprese mai saldati. E questo a Roma non ce lo porti così, dal niente. Laggiù il “modello Milano” lo può impiantare solo un imprenditore, non un burocrate di alto livello, con tutto il rispetto, un imprenditore che abbia un piano che duri nel tempo e che sia pronto alla battaglia più dura della sua vita. Perché non c’è alcun modello a Milano, se non quello dell’impresa.
Federico Dato (L’Intraprendente)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845