Milano 9 Novembre – I presidenti della Cina e di Taiwan hanno aperto un vertice storico a Singapore sabato scorso. Xi Jingping cinese ed il taiwanese Ma Ying-jeou si sono stretti la mano e si sono scambiati sorrisi, prima di ritirarsi per un colloquio senza precedenti.
“Noi siamo una famiglia”, ha detto il presidente cinese al suo omologo di Taiwan nei primi momenti dell’incontro, “Nessuna forza potrà separarci”, ha continuato, assicurando che sabato è stata una giornata speciale. “I cinesi su entrambi i lati dello Stretto, hanno la capacità e la saggezza per risolvere i propri problemi”, ha detto ancora Xi.
Il vertice, in campo neutro, è il primo dopo la fine della guerra civile e la fondazione della Cina comunista avvenuta 66 anni fa, dopo una guerra civile tra comunisti e nazionalisti. Dopo decenni di diffidenza, da entrambi i lati dello Stretto di Taiwan restano pesantemente militarizzati. Ma quando è salito al potere nel 2008 Ma Ying-jeou, un pro-Cina, il clima politico si è riscaldato e il rapporto tra Cina e Taiwan ha raggiunto il culmine con l’incontro di sabato, un evento impensabile.
Questo incontro è un “passo storico in grado di creare nuovi spazi per le relazioni tra il continente e Taiwan”, ha scritto il quotidiano cinese Global Times, vicino al governo, in un editoriale. Xi e Ma saranno comunque trattati con rispetto durante il summit, a causa delle sensibilità politiche profonde che influenzano le relazioni. La Cina considera Taiwan come parte del suo territorio, che deve essere riunificata, anche con la forza se necessario. Taiwan ha invece forgiato un’identità unica, liberale e democratica, indipendente dalla proclamata Repubblica Popolare Cinese (RPC) da parte di Mao.
Il presidente Ma Ying-jeou ha detto che nessun accordo sarebbe stato firmato e che non ci sarebbe alcuna dichiarazione congiunta, per allentare le tensioni a Taiwan, una società polarizzata su come affrontare il crescente influenza di Pechino. Nel suo editoriale dal titolo “scettici mostrano la loro chiusura mentale”, il Global Times lancia numerose critiche verso la riunione di alcuni politici taiwanesi che non vedono con occhio benevolo il summit di Singapore. Sempre il Global Times scrive: “Taiwan non è un paese e dovrebbe accettare la realtà ed essere consapevole del fatto che né i taiwanesi, né alcuna forza internazionale, inclusi gli Stati Uniti, possono aiutare cambiare la realtà”.
Il vertice di Singapore potrebbe comunque permettere a Taiwan di guadagnare influenza sulla scena internazionale da quando il paese è emarginato all’ombra di Pechino. Taiwan ha perso il suo seggio all’Onu nel 1971 a favore della Cina, e solo 22 paesi riconoscono formalmente l’isola, provocando un risentimento significativo.
A Taipei, l’opposizione ha accusato il presidente di voler, attraverso questo vertice, favorire il suo partito, il KMT, perdente alle elezioni presidenziali di gennaio. Prima di partire per Singapore, sabato mattina, i manifestanti si sono riuniti in aeroporto di Taipei, bruciando le immagini dei due leader e scandendo slogan che accusavano il presidente cinese Xi Jinping di essere un dittatore e Ma di essere un traditore. Francamente è quasi impossibile dar torto ai manifestanti.
Come per l’occupazione del Tibet, anche per Taiwan, la Cina si mostra al governo di Taipei come un padre che vuole aiutare suo figlio: “siamo una grande famiglia” “Insieme riusciremo a superare le difficoltà” ma in cuor suo, ed il Global Times lo dimostra in pieno, la Cina non solo non vuole realmente riconoscere formalmente la democratica repubblica taiwanese e tantomeno la vuole aiutare con partnership economiche e politiche, lo scopo è uno: conquistarla e farla diventare un’isola della Repubblica oligarchica e comunista di Pechino. Infine il messaggio è chiaro: ne i taiwanesi e tantomeno le forze internazionali (ogni riferimento alla debolezza della Casa Bianca non è casuale) potranno cambiare questa realtà. In fin dei conti la Cina ha già testato la perdita di potenza della Casa Bianca: in Siria, dove insieme a Putin ha stanziato alcuni suoi aeromobili militari per contrastare Daech, e durante le esercitazioni congiunte USA- Corea del Sud, quando, tramite il fantoccio presidente nord-coreano, ha fatto minacciare quest’ultimo di scatenare una guerra tra le due Coree, ammassando truppe e carri armati al confine con Seoul e per tutta risposta gli USA (anzi Obama) hanno fermato le annuali esercitazioni navali. L’idea che Obama rappresenti la superpotenza che mi dovrebbe difendere in caso di guerra, non so a a voi cari lettori, ma a me preoccupa più delle cellule Isis in Italia.
Impiegato presso una nota multinazionale americana, ha avuto varie esperienze di dirigenza sia in campo professionale che in campo politico.
Scrive per Milanopost ed altre testate, soffermandosi soprattutto su Israele, Medio Oriente, Africa sahariana e subsahariana. Giornalista Freelance scrive più per passione che per professione.