Nel delitto di Ancona gli unici innocenti sono feriti o morti

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Milano 10 Novembre – E’ in coma il padre della sedicenne, in stato di fermo, insieme con il fidanzato Antonio Tagliata di diciotto anni, per avergli sparato. L’autopsia della madre, deceduta sul colpo, è prevista per domani.

I contorni della vicenda sono chiari. Il ragazzo ha confessato. La ragazza no, ma la complicità è abbastanza evidente per gli inquirenti da fermarla. Sono già cominciati i paralleli con Erika ed Omar, la dinamica ricorda molto quei fatti. Una storia d’amore ostacolata dai genitori. Qualcosa che scatta. L’uomo che si fa carnefice ed il sospetto, mai totalmente provabile in giudizio, che la mano fosse sì la sua, ma la mente no. La mente era della donna, mormora la gente. Lei lo ha traviato. Nulla di nuovo e molto di banale. Io credo che per la pietà dovuta a chi è caduto, dobbiamo cercare di dire qualcosa di non scontato e non ovvio. Anche se è difficile. Non si cerca di andare a fondo, perchè questo porta ad esporsi. Però qualcosa la possiamo lo stesso azzardare. In primis, da ove viene quella pistola? Il numero di serie limato ed i tre caricatori che il ragazzo portava con sé fanno pensare che non sia qualcosa di recuperato. Così come suonano molto pesanti le parole di Tagliata padre, che parla di manie suicide del figlio, dovute al distacco imposto dai genitori della ragazza. Il quadro che pare emergere è quello di una tragedia maturata lentamente, una spirale di follia in cui i genitori di lei sono gli unici a volersi opporsi. ancona genitori (2)Lottano, strenuamente. Non hanno paura. Arrivano (volendo credere ai Tagliata) a rinchiudere la figlia. È tutto inutile. “Sono militari” dirà Tagliata padre, per descrivere il regime quasi detentivo della figlia. Saranno anche stati militari, non discuto, ma qualcuno aveva un figlio armato fino ai denti in casa. E non pare essersene accorto. Non pare nemmeno granché stupito. Non pare nemmeno roso dai rimorsi. Pare ferocemente intento a fare a brandelli i cadaveri degli sventurati. Come se dalla loro colpevolizzazione passasse la sua innocenza.

Poi abbiamo due ragazzi. Di loro, diciamolo subito, non sappiamo quasi nulla. Sappiamo solo che una ha aperto la porta all’altro e l’ha volontariamente seguito nell’ultima fuga. Su questo sono iniziate le speculazioni del giorno dopo. Del “visto uno, visti tutti”. Gli amanti dei modelli, delle categorizzazioni e delle gabbie ideologiche. È umano, di fronte al Caos, cercare l’ordine. Ma siamo certi che serva davvero a qualcosa? Possiamo davvero ridurre la spirale contro cui le due vittime si sono battute ad un elemento costante? Io non credo. Potremo certo elencare gli elementi che si ripetono e potremo usarli per prevenire. Ma cerchiamo di non usarli per spiegare. La differenza è vitale: lo sforzo di far entrare i casi nelle formine taglia gli angoli e deforma i caratteri. Trasforma le persone in tipi. I volti in maschere. Insomma, dà lavoro a Crepet ma uccide la verità.

Come ultima riflessione vorrei lasciare un barlume di speranza. I coniugi volevano rompere un legame malato. La loro morte, probabilmente, otterrà molto più della loro vita. Ed un giorno, guardandosi indietro, forse loro figlia si accorgerà dell’immenso sacrificio d’amore che i suoi genitori hanno fatto. E se piangerà, beh, se piangerà vorrà dire che può ancora salvarsi.

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