Milano 21 Novembre – Ripercorre la storia della musica milanese dall’Ottocento fino a oggi, passando per i grandi nomi (Giovanni D’Anzi, Fiorenzo Carpi, Nanni Svampa e i Gufi, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci), per arrivare a Enrico Ruggeri fino ai rapper attuali (Marracash)
All’inizio fu il Barbapedana, icona del musicista di strada e delle osterie, ma anche personaggio reale: il cantastorie Enrico Molaschi, nato a Milano nel 1823 e morto alla Baggina nel 1911, che si esibiva soprattutto all’(allora) rondò di Loreto. Dalla figura del Barbapedana, che di se stesso cantava «el gh’aveva on gilè senza el denanz e cont via el dedrée» (aveva un gilè senza il davanti e con via il didietro) comincia il libro di Andrea Pedrinelli «La canzone a Milano. Dalle origini ai giorni nostri» (Hoepli), che ripercorre la storia della musica milanese dall’Ottocento fino a oggi, passando per i grandi nomi (Giovanni D’Anzi, Fiorenzo Carpi, Nanni Svampa e i Gufi, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci), per arrivare a Enrico Ruggeri fino ai rapper attuali (Marracash), con incursioni in territori collaterali, dove Milano è ospite di eventi quali i concerti di Frank Sinatra o di Bruce Springsteen.
Un lavoro documentato e approfondito, con una prefazione del chitarrista Franco Cerri, che sfugge alle definizioni: non è un’enciclopedia né un trattato, ma un viaggio attraverso i protagonisti e i fatti, con aneddoti, testimonianze, schede, immagini, citazioni, curiosità. «Ho impiegato tre mesi a scriverlo e una vita a prepararlo – spiega Pedrinelli, classe 1970 -. Raccolgo materiali da quando ho dieci anni, le fotografie e le copertine dei dischi sono frutto di un mio archivio personale». Ne emerge una Milano vulcanica e caleidoscopica, crogiuolo di creatività, arte e libertà. Qui la canzone si miscela al teatro (il Piccolo di Giorgio Strehler, il teatro canzone di Giorgio Gaber) al cabaret, al jazz (Franco Cerri, Enrico Intra, Paolo Tomelleri), al pop, al rock, grazie anche a luoghi che diventano volano culturale (il Derby), mentre la leggerezza dell’intrattenimento s’intreccia alla poesia, al sociale, all’impegno.
Non c’è un solo filo d’arianna nel volume labirintico di Pedrinelli, ma tante tracce (compresa quella della discografia, di cui la città è stata capitale), che conducono al centro ideale del dedalo: Milano emerge come il luogo naturale della mescolanza, della contaminazione e della ricerca. Riassume l’autore: «È una città con un’apertura straordinaria, dovuta al suo pragmatismo, che trasforma le intuizioni in fatti, e alla sua profonda umanità, che permette agli artisti di esprimere idee e valori forti. Questo fa parte della storia di Milano: le prime canzoni assorbivano idiomi e culture di tutta la Lombardia e influenze austriache, francesi». Città evolutiva e meticcia, ma con un’identità indelebile, le cui impronte sono impresse sia nel centro sia nelle periferie.
Racconta Franco Cerri, che a gennaio compirà 90 anni e ha attraversato molte stagioni della canzone e del jazz (ha suonato con Natalino Otto come con Chet Baker): «Mi piace ancora camminare in centro, tra corso Venezia, corso Vittorio Emanuele e la Galleria del Corso». Lì, grazie agli uffici del produttore Nanni Ricordi, passarono tanti artisti, da Sergio Endrigo a Luigi Tenco. «Ma – ricorda – il mio primo grande incontro avvenne nel 1945 in un palazzo di Porta Genova. Allora le orchestre si esibivano nei cortili delle case. Un giorno arrivò Gorni Kramer con la sua fisarmonica e mi chiese di suonare con lui. Ero emozionatissimo, ma presi la chitarra e la gente ballò per un’ora e mezza».
Matteo Speroni (Corriere)
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