Milano 27 Novembre – Apre alla GAM, Galleria d’Arte Moderna la mostra “Adolfo Wildt (1868-1931). L’ultimo simbolista” con cui la Galleria prosegue il percorso di valorizzazione dei nuclei più significativi delle sue collezioni scultoree, inaugurato nel 2015 con la mostra monografica dedicata a Medardo Rosso.
La mostra, allestita nelle sale espositive al piano terra della Villa Reale fino al 14 febbraio 2016, si avvale della collaborazione dei Musées d’Orsay et de l’Orangerie di Parigi ed è realizzata in partnership con l’istituto bancario UBS.
Il percorso espositivo presenta 55 sculture di Wildt in gesso, marmo, bronzo; è centrato sulla resa plastica e materica di alcuni soggetti portanti della sua produzione, alcuni proposti in più versioni per sottolineare la ricerca sugli effetti dei diversi materiali, ossessione del suo lavoro d’artista, oltre a 10 disegni originali di Wildt e sei opere a confronto: la Vestale di Antonio Canova, tre opere di Fausto Melotti e due di Lucio Fontana, suoi allievi alla Scuola del Marmo che fondò nel 1922, annessa all’Accademia di Brera l’anno successivo.
Il percorso, per cronologia e fasi artistiche, si sviluppa in sei sezioni:
- Sotto l’ala dei maestri (1885-1906): dopo una formazione di bottega come aiutante di Giuseppe Grandi, Wildt frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera e inizia la carriera nel 1885 con una produzione di stampo naturalista che poi rinnegherà. La sua prima “vera” opera del 1892 (Atte, detta anche Vedova) gli procura l’attenzione del mecenate, Franz Rose, che lo sosterrà fino al 1912.
- La poesia del chiaroscuro (1906-1915): ferito dall’accoglienza della critica dopo la presentazione al pubblico milanese del gruppo dei Beventi (andato distrutto) Wildt mette in discussione la sua arte, cade in un lungo periodo di depressione e, quando ne esce, i Beventi hanno ceduto il posto all’enigmatica Trilogia. Wildt pare aver trovato la sua dimensione in uno stile più tormentato che procede per omissioni, deforma e trasforma i corpi alla ricerca dell’effetto psicologico.
- La famiglia mistica (1915-1918): il tema della madre e del figlio, della Madonna e del Bambino è importante nella sua produzione; in questa sezione sono esposte opere che presentano un’iconografia nuova, più spirituale, capace di dissolvere la materialità (e la maternità) in una rappresentazione più arcaica e semplificata, caratterizzata da ellissi e deformazioni della materia.
- L’asceta del marmo (1918-1926): a partire dal 1915 si fa strada in Wildt una nuova tendenza espressiva più slegata dalla realtà anatomica e più infusa di spiritualità, che raggiunge un’estetica fatta di epurazione delle forme, disseccamento delle fisionomie, semplificazione delle linee, nelle sculture e nei disegni: di qui la rappresentazione di santi e di concetti immateriali come l’anima, le ombre, la musica e la poesia che caratterizzano questa sezione.
- L’architettura delle forme (1922-1926): nel 1922 aderisce al Novecento italiano, il movimento promosso da Margherita Sarfatti per il rinnovamento dell’arte italiana nella direzione del “ritorno all’ordine”. La produzione di questo periodo predilige monumenti e ritratti, mai realistici e sempre più orientati al “ritratto di idea”, cioè alla rappresentazione dell’archetipo o della dimensione spirituale dei soggetti.
- Milano, gli amici e gli allievi. Fontana e Melotti: riconoscono il debito verso il maestro, nonostante le loro ricerche plastiche prendano direzioni diverse fino all’astrazione. Melotti riconosce che “entrambi devono la loro formazione esclusivamente a Wildt”.
Adolfo Wildt : nonostante il cognome d’origine germanica, Wildt nasce, si forma e muore a Milano dove trascorre larga parte della sua vita e svolge la sua attività artistica. La sua opera è ampiamente rappresentata nelle raccolte della GAM che, pur esponendo nel percorso permanente il solo Uomo antico (marmo, 1914), conserva numerose opere e bozzetti e la magnifica composizione in marmo della Trilogia (Il Santo, Il Giovane, Il Saggio), esposta alla Triennale di Brera nel 1912 e giunta nel parco della GAM dopo molte traversie.
Adolfo Wildt è il maggior scultore dell’inizio del secolo scorso, ma è ancora sconosciuto al grande pubblico, vittima dopo la morte, di una condanna all’oblio decretata dalla critica che non condivideva la sua poetica né il suo concetto di scultura, e dalla cultura del secondo dopoguerra, che lo accusava erroneamente di essere stato un artista di regime. Durante la sua vita d’artista, Wildt è stato amato e odiato dagli uomini e dalle donne del suo tempo, osannato e disprezzato dalla critica, suscitando ammirazione e ribrezzo, commozione e repulsione, mai lasciando indifferenti.
Wildt nasce e svolge l’intera attività artistica in una Milano in fermento, terreno fertile della Scapigliatura di Giuseppe Grandi, della cultura impressionista di Medardo Rosso, poi del movimento futurista affascinato dall’industriale «città d’oro e di ferro».
Personalità indipendente, Wildt rimane al margine delle avanguardie e conserverà sempre un solido legame con la tradizione artistica italiana, dall’Antichità al Barocco, con una netta predilezione per la pittura del Rinascimento. Questa mostra monografica pone in risalto questi rapporti, come pure l’unicità di Wildt e le sue affinità con i contemporanei, attraverso una selezione di opere dello scultore, a cui fanno da contrappunto quelle di altri artisti.
La mostra è al centro di un percorso storico-artistico allargato alla città, valorizzando le testimonianze wildtiane esistenti attraverso un itinerario diffuso, illustrato nel catalogo della mostra che sarà possibile approfondire con visite guidate e materiale divulgativo realizzati in collaborazione con il Touring Club Italiano.
Oltre al parco di Villa Reale, che ospita La Trilogia (Il Santo, Il Giovane, Il Saggio), molte opere si possono visitare al Cimitero monumentale: l’Edicola Giuseppe Chierichetti e l’Edicola Korner 1929, ultima opera di Wildt entrata al Monumentale; il Monumento Ravera, in bronzo, riferito all’attentato contro Vittorio Emanuele III del 12 aprile del 1928, in cui perse la vita quasi tutta la famiglia Ravera; il Monumento Wildt del 1931, sepoltura dello scultore e della moglie Dina disegnato da Giovanni Muzio, nel riparto degli Acattolici; il Monumento a Ulrico Hoepli, fondatore dell’omonima casa editrice (1924); il Monumento Bistoletti o Casa del sonno risalente al 1922, anno in cui Wildt apriva a Milano la Scuola per la lavorazione del marmo; la Sepoltura dell’avvocato socialista Cesare Sarfatti, marito della critica d’arte Margherita Sarfatti.
In città si possono seguire le orme di Wildt in largo Gemelli, dove si trova il Tempio della Vittoria che ospita un’imponente statua in bronzo di Sant’Ambrogio: nel Chiostro dell’Università Statale di Milano si può ammirare il modello in gesso della stessa opera.
In via Serbelloni 10, presso il palazzo Sola-Busca, si trova l’ Orecchio, scultura in bronzo realizzata da Wildt nel 1927 che ha rappresentato uno dei primi citofoni di Milano e della storia: l’opera è stato concepita come un ingrandimento dell’orecchio del Prigione del 1915, presente in mostra, a testimonianza di come l’autore considerasse ogni frammento del corpo capace di esprimere un sentimento. Un’ultima, straordinaria opera di Wildt potrà essere ammirata nell’atrio di Palazzo Berri Meregalli in via Cappuccini,8.
“ADOLFO WILDT (1868–1931). L’ULTIMO SIMBOLISTA”
27 novembre 2015 – 14 febbraio 2016
GAM Galleria d’Arte Moderna, via Palestro 16 – 20121 Milano
www.gam-milano.com
Biglietti incluso in quello di ingresso alla GAM (intero 5 euro – ridotto 3 euro)
martedì – domenica dalle 9 alle 17.30, lunedì chiuso
Laurea Magistrale in Lettere Moderne. Master in Relazioni Pubbliche.
Diploma ISMEO (lingua e cultura araba). Giornalista. Responsabile rapporti Media relations e con Enti ed Istituzioni presso Vox Idee (agenzia comunicazione integrata) Milano.