Milano 29 Novembre – Le scoperte più importanti della storia hanno sempre avuto quel retrogusto di banalità che ci fa sospettare di averle potute fare noi. È solo un gioco prospettico. Ma è affascinante. Prendete ad esempio Poletti, ministro del Lavoro (altrui), quando dice che bisogna superare il mero rapporto ora/lavoro per determinare il salario. Ora riflettiamoci un istante. Ovviamente non è un’indicazione che valga sempre ed ovunque. La babysitter non verrà mai pagata in base a quanto presto un bambino inizia a pagare. Ma retribuire un insegnante in base ai risultati che ottengono gli studenti è più interessante. In ogni caso, stiamo divagando. La proposta ha un grande merito. Quello di spostar l’attenzione sui regali da fare sotto elezioni (vedansi i 500 euro ai diciottenni) per parlare di cose un po’ più serie. Come, ad esempio, i principi. Che nel caso di Poletti sembrano vagamente confusi. Si inizia bene, devo dire. Non siamo più ai tempi del fordismo, l’idea che un’ora di lavoro sia una misura standard è vagamente ridicola ai tempi di internet. Prendete, ad esempio, un programmatore. Non è che tutte le ore di scrittura di codice siano uguali. Certo, si può usare come parametro, ma non è il solo. Non è nemmeno quello più importante, spesso. No, è uno tra tanti. Quello che rimane fisso, immutabile e connaturato alla logica stessa del mercato è il rapporto costo/prezzo. Poletti non vuole e sospetto non possa dirlo, ma il vero problema è che ormai la concorrenza ha spazzato via l’idea stessa di poter strutturare il lavoro dipendente in maniera da renderlo esente da rischi. Andiamo sul semplice. Le aziende hanno sempre più momenti di fortissima produzione a momenti di vuoto. Succede per adeguamenti di tecnologia, di mercato e per la marea, montante o decrescente, delle commesse. Un’ora di lavoro oggi posso essere disposto a pagarla moltissimo, domani quasi nulla. La media non esiste più. Non ha alcun senso. Perché, seconda cosa che Poletti non può dire, ho un costo di base esorbitante.
Un costo impostomi dallo Stato, peraltro. Ma sorvoliamo. Dopo l’uscita del Ministro, interessante, ma minata da mille omissioni, è arrivata la critica di Bertinotti. Il quale se la prende con la precarizzazione del lavoro ed il ritorno all’800. Benvenuto nel 21simo secolo, compagno Fausto. Non è colpa di nessuno se l’unica fascia di mercato che potesse assorbire quel tipo di logica è morto. Spolpato vivo da te e dalle iene dei diritti, i necrofagi del profitto altrui. I predatori insaziabili del margine imprenditoriale, pretoriani del rischio zero. Le grandi produzioni lasciano e sempre più lasceranno al terra dei “diritti”. Nemmeno lo Stato può e vuole più quel modello. Che, a tutti gli effetti, è morto. Allora cosa fa Bertinotti? Ci riprova, ci dice che con il tempo libero il lavoratore deve esigere di più. Più diritti. Più sicurezze. Più garanzie. Più salari. Usando la leva della democrazia, ovvero il diritto di spogliare l’imprenditore con la forza della legge. Tutto molto originale devo dire. E’ dall’era della pietra che funziona così.
Quindi si combatte l’800 col neolitico. Oggi. 29 Novembre, anno del Signore 2015. Italia. Poi ci domandiamo perchè stiamo fallendo. Di fronte ad una audace provocazione qualcuno si trincera dietro Keynes. No, per dire eh. Ce lo meritiamo tutto il default.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,