Perché la gente non vota più: Intervista esclusiva a Leonardo Montoli

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Milano 3 Dicembre – Per capire la dinamica del consenso, i modi di comunicazione dei partiti, abbiamo intervistato il prof. Leonardo Montoli,  Socio Fondatore della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana.

Leonardo MontoliDal suo sito  leonardomontoli.com è scaricabile il suo recente studio dal titolo  “3 crisi di immagine e di consenso. Partiti, Chiesa Cattolica, Pubblica Amministrazione sfiduciati dalla pubblica opinione. Come risalire la china?” In breve tempo il sito, di recente costituzione, ha già registrato 700 visitatori, segno evidente dell’interesse che il contenuto dell’opera, se fatto oggetto della dovuta attenzione, suscita  nel lettore in considerazione dei temi di grande attualità che esso tratta. Perché a suo avviso la gente non si fida più dei partiti?

La risposta è molto semplice: la gente non vota più perché i partiti non sanno colloquiare con essa, perché non conoscono a fondo la dinamica del consenso e il rapporto fra tale dinamica e l’immagine; in parole povere manca loro la cultura delle pubbliche relazioni. A riprova di ciò quando, come politico cristiano, già a suo tempo Giovanni Esposito ebbe a sottolinearne la validità proponendo di utilizzare tale studio per  “aprire un dibattito con tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro paese ”la sua fu la voce di uno che grida nel deserto al quale nessuno rispose; e altrettanto avvenne quando il contenuto dell’opera riguardante la politica fu integralmente pubblicato come inserto grafico-astensionismo-europee-2014-300x248sulla rivista AZZURRO: in entrambi i casi nessuno  fra gli “acculturati” della compagine direttiva destinatari della segnalazione raccolse la provocazione, evidentemente perché occupati a costruire il “successo elettorale” che ne seguì.

 Sostanzialmente come possono essere definite le pubbliche relazioni, con particolare riferimento alla politica?

Fare bene e farlo sapere bene è la sigla riassuntiva delle relazioni pubbliche. Far bene per il partito politico vuol dire servire al meglio la società.Far bene per la Chiesa, è applicare con la massima coerenza la religione che rappresenta.Far bene per la pubblica amministrazione, vuol dire offrire un servizio ottimale al cittadino.Quel “bene” richiama la dimensione etica ed organizzativa, che sottende questi tre far bene.Farlo sapere bene, per i tre interlocutori della società sopra indicati, vuol dire utilizzare i mezzi tecnici più appropriati per supportare, interpretare e comunicare l’attività istituzionalmente svolta. Quindi, in altre parole, le relazioni pubbliche possono essere definite la strategia globale del ben fare e del ben comunicare il ben fatto,in cui organizzazione e tecnica si sviluppano armonicamente in una cornice etica. La finalità di tale strategia è quella di conseguire consenso che si materializza in voto per il partito politico, in riconoscimento della qualità del servizio per la pubblica amministrazione, in adesione convinta e coerente al credo religioso per la Chiesa.

Sembra di capire che il consenso sia legato ad una concezione quasi aziendalistica del partito almeno nei suoi presupposti organizzativi che ne garantiscano l’efficienza.

Chi afferma, con disprezzo, che  un partito non è un’azienda, sbaglia di grosso: il partito è un’azienda, che ispirandosi a sani principi organizzativi e gestionali, sa vendere all’opinione pubblica il contenuto di programmi e l’immagine di uomini politici “qualitativamente” capaci di ottenere il consenso, che si traduce in voto Il profitto dell’azienda-partito è il numero di voti che riesce ad ottenere con la sua attività “produttiva”: fare politica. Alla base di un partito così concepito c’è un sistema professionalmente organizzato di relazioni pubbliche, in grado di produrre un’efficiente marketing culturale, affidato ad uomini che si distinguono principalmente per il “ colore della materia grigia.” Tali  uomini, non “germogliano”  necessariamente nelle alte sfere, ma possono  essere rinvenuti e valorizzati andandoli a pescare fra quelli che operano silenziosamente nelle “retrovie” e che sono dotati di esperienza e di cultura sufficiente per sedere “dietro” il tavolo, intrattenendo “in platea”, con competenza, sui problemi concreti, il personale politico che di solito si siede dietro il tavolo, in occasione delle varie manifestazioni, dove, nella maggior parte dei casi, il “pubblico” è chiamato a partecipare per “ascoltare”, più che per parlare…… e per applaudire..Come in un’azienda efficiente chi ha responsabilità direttive è chiamato periodicamente a render conto agli azionisti del suo operato, che viene criticamente analizzato, discusso, con eventuali rilievi ed indicazioni di cambiamento di indirizzo da attuare, quando necessario, così gli “azionisti” di un partito, che sono gli iscritti e quelli che lo votano,  dovrebbero ricevere un resoconto periodico sull’operato dei singoli rappresentanti del partito, che  occupano un ruolo fiduciario, e come tali devono essere “controllati” in merito alla qualità dell’immagine del partito che “vendono” all’opinione pubblica col loro comportamento.

Le compagini correntizie che caratterizzano i partiti tendono a monopolizzare l’informazione anziché renderla patrimonio comune nell’interesse del partito, il che va a scapito della capacità del partito di conoscere la realtà sulla quale opera. Lei cosa ne pensa?

E’  bene precisare anzitutto che le correnti  in un partito hanno ragion d’essere se sono correnti di idee, non di interessi che vengono venduti mediante vuote,ricorrenti esternazioni  affabulatorie. Quanto alla funzione delle relazioni pubbliche essa è quella di costruire, gestire, tutelare l’immagine del partito, favorendone lo sviluppo positivo,individuando e tenendo sotto controllo i fattori interni ed esterni  che possono influenzarne la “qualità”dell’immagine, a tutto vantaggio del partito nel suo complesso non già a vantaggio di questa o quella corrente; in tale  ottica l’informazione rappresenta un “patrimonio comune” la cui validità non è costituita dalla “quantità” delle informazioni disponibili bensì dalla loro “qualità”, cioè dal modo in cui sono acquisite, organizzate e rese fruibili per alimentare la “cultura” del partito. Il che richiama anzitutto la distinzione fra informazione e documentazione; la documentazione, a differenza dell’informazione, è basata sulla correlazione logica di più elementi conoscitivi, ciascuno dei quali si evolve continuamente, acquisendo un peso e un significato diverso rispetto agli altri elementi cui è correlato, diventando  così suscettibile di nuove correlazioni nel corso dell’evoluzione stessa. Ci si può considerare pertanto documentati solo se si abbraccia – in termini conoscitivi – la realtà contemporaneamente nel suo complesso e nei suoi elementi costitutivi, in una prospettiva dinamica in cui l’attualità è sempre vista in una dimensione storico- critica, cioè in un collegamento logico e cronologico con gli elementi precedenti e con i possibili sviluppi futuri. La tecnica documentaria (definita documentalistica e favorita dall’uso corretto dell’informatica) diventa così uno strumento indispensabile per impostare e realizzare una politica di relazioni pubbliche, che si sostanzia di azioni rispondenti alla puntualità del momento: in primo luogo quelle che tendono ad “interpretare” il partito ai suoi pubblici e questi   al partito, alimentando un dialogo continuativo che favorisce la partecipazione in chiave culturale alla vita di un partito che “pensa”, anziché essere teatro di costanti risse per la spartizione del potere..

La forza di attrazione di un partito politico è dunque basata sui valori che esso propone e coltiva attraverso il comportamento coerente degli uomini che lo rappresentano; è questo il presupposto della partecipazione da riattivare in chiave di pubbliche relazioni?

Una partecipazione che vada alla riscoperta corale dei valori che contraddistinguono la nostra identità culturale e che fanno dell’Italia un polo di attrazione a livello internazionale ; un recupero basato sulla fatica di pensare in chiave critica andando oltre le pretestuose “conversazioni” dei social network, ricchi di giudizi non motivati, di gratuiti insulti e di frettolose prese di posizione costituite da parole che spesso fanno solo rumore. Una volta riscoperto il retroterra dei valori perduti le sintesi informatiche acquistano una valenza  culturale, giacché nessuna sintesi ha ragion d’essere se non può fare riferimento ad un’analisi il più possibile approfondita ed accurata. Fare politica vuol dire fare cultura; il che conferisce dignità alle correnti  se sono correnti di “idee” anziché battibecchi da ballatoio, ed un’immagine di autorevolezza al politico che in sede di dibattiti televisivi  rifugge dallo starnazzare, convinto che chi grida di più ha ragione, con ciò dimenticando che le teste vuote fan sempre del chiasso.

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