Sant’Ambrogio: il discorso del Cardinale Scola alla città

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Milano 7 Dicembre – Un discorso di Sant’Ambrogio rivolto alla città ma con il pensiero a Roma, dove inizia il Giubileo. In occasione della festa patronale, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola ha pronunciato il tradizionale “discorso”, intitolato quest’anno “Misericordia e giustizia nell’edificazione della società plurale”. Un lungo ragionamento che partendo dai concetto della colpa e perdono, arriva a toccare le grandi emergenze di questo periodo, dal terrorismo alle carceri sovraffollate fino all’immigrazione e al futuro dei giovani milanesi. Sull’immigrazione, Scola chiede allo Stato di rendere concreta e attuabile l’accoglienza e spiega che il terrorismo “che non potrà essere sconfitto senza il risveglio dell’Europa”. In giorni di polemiche sui presepi e le feste natalizie, il porporato ha poi sottolineato che tocca all'”autorità costituita” il “salvaguardare la capacità della società civile di sviluppare la propria identità e storia”. Quindi sì al meticciato delle culture  –  un concetto caro a Scola  –  ma col rispetto delle nostre tradizioni. Per quanto riguarda la Milano del dopo Expo, invece, la paura è per il lavoro che manca ai giovani e l’invito è a “guardare il mondo dalla periferia, col punto di vista di quelli lasciati fuori”.

MILANO
Il cardinale Angelo Scola sottolinea che “anche Milano patisce le contraddizioni sociali proprie di questo stato di cose: cito solo l’esclusione dei giovani dalla possibilità di vivere da protagonisti, negli affetti e nel lavoro” anche se è “in crescita. Expo ha ridestato nella gente il gusto dei rapporti. Anche se non in modo sempre adeguato ha sollevato questioni centrali come la necessità di risolvere la tragedia della fame nel mondo, di condividere il cibo, di superare la cultura dello scarto, ma ha lasciato aperto il compito di rispondere alla fame e alla sete di senso che ogni cittadino si porta dentro.
Senza poter qui entrare nell’analisi di tutti i molteplici fattori che aprono il cuore dei milanesi alla speranza, giova raccogliere una indicazione di metodo che Papa Francesco ci ripropone con insistenza. Ci chiede di imparare a guardare il mondo dalla periferia, col punto di vista di quelli “lasciati fuori”. Lungi dall’essere un invito moralistico quella del Papa è una lettura acuta delle falle che si sono aperte nel nostro mondo globalizzato. In questa realtà, infatti, tutte le periferie si somigliano.

I PROFUGHI
L’arcivescovo ricorda che gli immigrati “sono costretti a sostenere simili fatiche per ragioni di assoluta necessità, come la difesa della vita, della libertà o la determinazione a lasciarsi alle spalle la fame e la miseria” e ricorda che “l’immigrazione mette in campo la necessità di approfondire una cultura dell’accoglienza, ma anche e soprattutto un giudizio circa la radice dell’odierno sistema socio-economico che è all’origine del fenomeno migratorio.
L’aggravarsi del terrorismo islamista ed il peso che va assumendo, anche per l’Europa, non cambiano il carattere strutturale del “meticciato di culture e di civiltà” che le migrazioni presentano. L’attuale e imponente fenomeno migratorio presenta certi aspetti di emergenza, ma è già  –  e lo sarà sempre più  –  un fenomeno strutturale. Inoltre il terrorismo non potrà essere battuto senza un processo integrativo che domanda ricerca e promozione di “senso”, impossibile senza un intenso risveglio dell’Europa”.

L’ACCOGLIENZA
Lo Stato deve “garantire il contesto di ordine, di pace e di benessere necessario perché l’accoglienza possa essere concretamente attuata dai singoli e dai corpi intermedi”, cioè il volontariato e le parrocchie che la Diocesi ambrosiana ha mobilitato. Però attenzione all’identità: “L’autorità costituita dovrà essere particolarmente attenta, in proposito, a salvaguardare la pregnanza della capacità della società civile di sviluppare la propria identità e la propria storia, in altri termini la sua capacità di “tradizione innovativa” in quanto fattore dinamico di edificazione di civiltà. Nel massimo rispetto della storia, della cultura e dei costumi del popolo che rappresenta, l’autorità statuale, ai vari livelli, non dovrà pretendere di imporre in modo meccanico un’idea astratta di integrazione”. Detto questo “È fuori dubbio che il fenomeno migratorio visto in tutti i suoi aspetti anche negativi, ha bisogno  –  come da tempo chiede l’insegnamento sociale della Chiesa  –  di un nuovo ordine mondiale”.

LE CARCERI 
Lunga introduzione sul tema della giustizia e del perdono con riferimento al “territorio della nostra Diocesi di Milano” dove “sono presenti sette istituti penali per adulti (Milano San Vittore, Milano Opera, Milano Bollate, Monza, Lecco, Busto Arsizio e Varese) un istituto per minorenni (il Beccaria a Milano). Oggi il totale di detenuti in diocesi è di 4.368 adulti e più di 50 giovani al Beccaria. A questi vanno aggiunte le persone in esecuzione penale esterna (detenzioni domiciliari, affidamenti in prova ai servizi sociali): 6.500 circa su tutto il territorio lombardo. Mi sembra particolarmente significativo il cambiamento del quadro legislativo introdotto in Italia dal 2013, teso a rendere ancor più residuale la pena da scontare in carcere, per dare più spazio alle forme di esecuzione penale esterna. A dire di molti che, a diverso titolo, sono coinvolti con gli istituti di detenzione, l’esecuzione penale esterna al carcere è la miglior scelta possibile: abbatte la recidiva, dà provato esito di efficacia nel reinserimento sociale, incide meno sui costi della pubblica amministrazione e finisce per generare maggior sicurezza sociale”.

LA FAMIGLIA 
Il cardinale invita al perdono anche in famiglia: “E’ l’ambito primario ed insostituibile dove si impara sia il principio di gratuità (misericordia), sia il

principio di giustizia, attraverso le relazioni costitutive di sposi, genitori, sorelle e fratelli, nonni, parenti, amici, vicini. Invece per lo sviluppo equilibrato della persona, della comunità cristiana e della società è essenziale che tutti possano fare esperienza e imparare fin dall’infanzia la possibilità permanente di riparare il male commesso riconoscendolo e chiedendo quel perdono che apre la strada alla “ripresa”, figura morale adeguata”.

Zita Dazzi (Repubblica.it)

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