Milano 13 Dicembre – È arrivato e il mondo lo aspettava da anni. L’accordo sul clima c’è. Dopo discussioni diurne e notturne, dopo trattative serrate tra i negoziatori, i delegati di quasi 200 Paesi hanno raggiunto a Parigi uno storico accordo per limitare il riscaldamento globale. Sui volti dei delegati, dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste e non solo, la soddisfazione è evidente.
Molte persone, uscite dalla plenaria del centro congressi di Le Bourget, facevano il segno della vittoria: dopo anni di tentativi, passati a suggerire, ad allarmare la comunità internazionale sui rischi devastanti del cambiamento climatico, ieri c’è stata la svolta. Ora, precisano i negoziatori, si profila un’intesa più ampia: quasi 200 Paesi responsabili del 93% delle emissioni partecipano a un progetto di riconversione globale dell’economia. La proposta finale fissa il limite del riscaldamento globale ‘ben al di sotto dei 2 gradi centigradi entro il 2020, puntando all’obiettivo di 1,5 gradi”. Attenzione, poi, al taglio delle emissioni di gas a effetto serra, e all’impegno finanziario per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella sfida alla sostenibilità ambientale. Un successo, secondo alcuni, che pongono il paragone con il protocollo di Kyoto, siglato nel 1997, che coinvolgeva di fatto solo 35 Paesi. “Un accordo ambizioso, equilibrato, sostenibile e soprattutto giuridicamente vincolante”, aveva annunciato ieri mattina il ministro degli Esteri francese Fabius precisando che si tratta di uno ‘storico punto di svolta’. Accanto a lui il presidente francese Hollande che già aveva ricordato che “si tratta del primo accordo universale nella storia dei negoziati in termini climatici”, e che la sigla è stata posta a un mese esatto dagli attacchi di Parigi.
Il limite al di sotto dei 2 gradi con uno sforzo per raggiungere 1,5 gradi L’obiettivo generale, quello ambizioso che gli scienziati e gli esperti di tutto il mondo chiedevano, è stato rispettato e inserito nel testo dell’accordo: mantenere, cioè, l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali entro il 2020 e proseguire gli sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, “riconoscendo che questo ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico”. Tra i sostenitori, più di 100 Paesi, l’Unione europea – l’Italia in prima fila – e soprattutto gli Stati Uniti. Tra i contrari, l’Arabia Saudita, secondo cui un obiettivo così ambizioso potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare del pianeta.
Le emissioni di Co2 Per quanto riguarda le emissioni inquinanti, nel testo si prevede di raggiungere un picco globale delle emissioni di gas a effetto serra nel più breve tempo possibile, anche se che ci vorrà più tempo per i Paesi in via di sviluppo, e di “intraprendere – c’è scritto nel testo – riduzioni rapide da quel picco in poi secondo le conoscenze scientifiche disponibili, in modo da arrivare a un equilibrio tra le emissioni in atmosfera e le emissioni assorbite in modo persistente dalle biomassa (foreste, suolo) o catturate e stoccate sotto terra. Secondo i critici dell’accordo questo potrebbe aiutare a ridurre in modo significativo le emissioni, ma non potrà sostituire la necessità di ridurre a zero le emissioni inquinanti. I Paesi più colpiti dall’impatto del cambiamento climatico e molte ong avevano chiesto a gran voce un impegno chiaro, mentre i giganti emergenti – India e Cina – premevano per posticipare o sfumare qualsiasi obbligo, rivendicando il diritto a bruciare carbone. Proprio per questo motivo nell’accordo, giuridicamente vincolante, non si parla più nello specifico di “neutralità carbonica” e non si precisa più l’obiettivo delle riduzioni entro il 2050.
100 miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo Nel testo è stato inserito, nell’ambito delle decisioni non vincolanti, l’invito “ai Paesi sviluppati a incrementare il loro livello di supporto finanziario, con una roadmap concreta per raggiungere l’obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020 per mitigazione e adattamento, aumentando in modo significativo i finanziamenti per l’adattamento rispetto ai livelli attuali e fornendo l’appropriato supporto tecnologico e di creazione di competenze”.
Ogni 5 anni revisione degli impegni Ogni cinque anni i paesi dovranno rivedere il loro contributo e rinnovare gli impegni nazionali per raggiungere gli obiettivi fissati e quelli futuri che non potranno essere meno ambiziosi rispetto a quelli precedenti.
Galletti: “Siamo nella storia e Italia ha contribuito” “Siamo nella storia, e a questa storia ha contribuito anche l’Italia”, ha commentato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti mentre il presidente del Consiglio Renzi ha definito l’intesa un “passo avanti decisivo”.
Obama: “Risultato enorme frutto della leadership americana” Di “accordo storico” ha parlato anche il premier britannico David Cameron, mentre per Barack Obama è un risultato “enorme”, frutto della “leadership americana”. “E’ un exploit”, ha esultato anche il ministro dell’Ambiente lussemburghese Carole Dieschbourg, in rappresentanza della presidenza dell’Ue, per cui “questo è il successo dell’Europa, di tutti i Paesi coinvolti nel processo, della società civile e di tutti quelli che ci hanno aiutato ad arrivare a questo accordo ambizioso, vincolante e giusto”. “Per oggi festeggiamo, da domani dobbiamo fare”, ha aggiunto il commissario europeo all’Energia, Miguel Arias Canete.
Accordo coinvolge anche grandi inquinatori Non solo L’Europa e pochi altri Paesi come è successo per Kyoto. Ora l’accordo ha raccolto un consenso quasi generale, anche dai ‘grandi inquinatori’ come gli Stati Uniti e i paesi in via di sviluppo Cina e India, che hanno voluto esprimere il proprio apprezzamento davanti alla plenaria. Unica voce fuori dal coro il Nicaragua, che ha rifiutato di sostenere il consenso e ha denunciato alcune mancanze nel testo, in materia di “ambizione” e di garanzie sui finanziamenti, chiedendo di creare un “fondo di compensazione” legato alla “responsabilità storica” e che anche i Paesi del Centroamericana siano inseriti tra i più vulnerabili. (Rainews)
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