Milano 15 Dicembre – E se fosse solo l’inizio? Vigilanti che non vigilano, conflitti di competenze, responsabilità fantasma, eventi imprevedibili.
Di fronte al patatrac delle quattro banche, che ha trasformato in carta straccia i risparmi di oltre 130mila clienti, ci hanno voluto far credere che si sia trattato di un fulmine a ciel sereno. Un cataclisma improvviso ed eccezionale, che si è abbattuto su quattro istituti sfortunati.
La realtà è che quanto accaduto con Pop Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti potrebbe rivelarsi un fenomeno tutt’altro che isolato e irripetibile. Nei giorni scorsi si è calcolato che in giro per l’Italia ci sono circa 60 miliardi di obbligazioni subordinate che potrebbero fare la stessa fine di quelle in mano ai risparmiatori delle quattro banche. Si tratta di prodotti rischiosi acquistati spesso senza la dovuta preparazione finanziaria, in alcuni casi anche in maniera forzata per ottenere un finanziamento, ma raramente senza la consapevolezza di fare un investimento.
Diverso è il caso delle azioni. Abbiamo visto che l’acquisto dei titoli delle banche veniva imposto per la sottoscrizione di un mutuo, ma anche per la semplice apertura di un conto corrente o per avere accesso a determinati servizi bancari. La percentuale dei soci involontari delle banche più piccole e non quotate è elevatissima. Certo, in alcuni casi gli azionisti hanno intascato buoni dividendi, ma un discorso è acquistare un prodotto finanziario, un altro prendersi un pezzetto della propria banca. Come spiegano gli analisti indipendenti di Consultique, le azioni «non sono necessariamente titoli a rischio perché dipende appunto dalla situazione della banca ma in alcuni casi sono illiquide, ovvero non scambiabili facilmente sul mercato come in Borsa». E in altri casi, anche senza scomodare il bail in, che lì pescherebbe in prima istanza, il loro valore potrebbe ridursi sensibilmente. A metterci lo zampino, manco a dirlo, ci ha pensato anche il governo, con la sua riforma dello scorso inverno che obbliga le popolari più grandi a trasformarsi in spa. Tanto per avere un’idea la quotazione di Veneto Banca e Pop Vicenza provocherà, secondo le stime degli analisti, una svalutazione delle azioni che potrebbe arrivare fino all’85%.
La massa di titoli illiquidi che rischia di veder abbattuto da un giorno all’altro il suo valore è enorme. Gli esperti di Consultique si sono presi la briga di calcolare il valore delle azioni di 20 istituti di credito medio piccoli, magari oggi in ottima salute, ma con caratteristiche simili per dimensioni, struttura organizzativa e tipologia di business, alle quattro fallite. Ebbene, complessivamente siamo di fronte a quasi 16 miliardi di azioni. La lista degli istituti con il patrimonio netto più alto parte proprio da Pop Vicenza (che ha già svalutato i suoi titoli da 62 a 48 euro) e Veneto Banca (lo scorso aprile ha svalutato da 39,5 euro a 30,5 euro), che totalizzano rispettivamente 3,7 e 2,9 miliardi di euro.
Più staccata arriva la Cassa Risparmio Asti, con 771 milioni, e la Banca Sella con 617 milioni. Seguita dalla Cassa risparmio di Bolzano con 504 milioni. Chiude la lista la Banca di credito Popolare, con 231 milioni.
Per avere un’idea di quello che può succedere quando le banche non quotate si confrontano con il mercato si pensi che in base ai multipli utilizzati da istituti comparabili il prezzo indicativo per i titoli di Veneto banca potrebbe essere tra gli 11 e i 12 euro. Per quelli di Pop Vicenza tra i 17 e i 18.
di Sandro Iacometti
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