Milano 24 Dicembre – Quel dicembre del 58, a Natale. La magia dell’attesa mi faceva sentire euforica, allegra. La giornata della vigilia era febbrile: tutte le donne di casa sembravano muoversi e agitarsi, senza un perché.
Era difficile capire dall’esterno che cosa dicessero, ma ogni gesto aveva la sua logica e il vociare un po’nervoso era espressione di un codice consolidato, finalizzato alla preparazione dei piatti tipici del Natale.
Guardavo con una forte emozione, anche se venivo marginalmente coinvolta in quel gioco da “grandi”. Ci si trovava tutti a casa dei nonni. Una famiglia numerosa con zii, zie, cugini, pochi soldi e tanto amore. Una famiglia come tante altre. Si usciva lentamente dalla difficoltà del dopoguerra e si cercava ogni anno di rendere la festa di Natale davvero una festa speciale, soprattutto per i bambini, usando molta fantasia e buona volontà.
In fondo i mandarini che addobbavano l’albero erano rossi come il sole e le arachidi con la barbetta di bambagia sembravano animarsi in modo buffo e allegro. Alle bambine Gesù Bambino regalava una bambola, spesso usata, ma con un bel vestito nuovo e la bocca rossa ridipinta per l’occasione. Si scartavano con cura le poche caramelle e il cioccolato insieme, tra una risata e l’altra, raccontandole novità di famiglia
Ma il pomeriggio della vigilia era tutto per noi, ragazze adolescenti, curiose della vita e con quel desiderio d’avventura ancora indefinito, ma già prepotente. Si andava a piedi da Malgrate a Lecco per vedere un film, qualsiasi esso fosse, con il rischio di arrivare in ritardo e che il film fosse già stato proiettato. Perché importante era il viaggio, quello stare insieme e quel sentirsi coraggiose e adulte lungo quella strada quasi deserta.
Spesso una pioggia sottile ci inumidiva il viso. Gli alberi con i rami protesi e scheletrici, sembravano parlare al cielo. Il lago sapeva essere discreto e silenzioso.
Il lago di Lecco è il mio lago. Ho imparato ad amarlo quando l’argento si scioglie nell’acqua, al tramonto, quando borbotta per il vento, sicuro e tranquillo, vigilato e protetto dalle sue montagne.
In quel viaggio sfioravamo la libertà, mentre il livore del buio di una serata invernale scivolava sulle case illuminate a festa. Inconsciamente aspettavamo, complici e un po’ sfrontate, l’arrivo dell’età adulta e la comprensione della vita, del mistero, forse anche di Dio.
Il freddo, al ritorno, era ancora più pungente, se possibile. Ci stringevamo le mani camminando in fretta per essere a casa in tempo per la cena e per la messa di mezzanotte.
Nel 58 avevo quindici anni e alla Messa di Natale andavo perché in famiglia così si doveva fare.
Ma quell’anno fu un anno “diverso”. In chiesa i canti davano conforto e pregavano un bambino onnipotente, ma povero come me. “E a quel bambino – diceva il sacerdote- si può chiedere tutto perché quel bambino è buono. E il Natale è rinascita e rinnovamento dei buoni propositi. E Gesù può fare il miracolo di rinascere in ciascuno di noi”.
Il rito procedeva con la condivisione di momenti altamente spirituali. Mi sentivo coinvolta e piacevolmente sorpresa. Sentivo emozioni nuove e confuse.
Uscii dalla Chiesa. Una neve disordinata e leggere giocava con il mio naso, s’adagiava sui miei occhi, disegnava figure sfuggenti. Ogni casa si era vestita di mille colori, le luci si rincorrevano con gioia. E l’aria era musica e canto.
Mi abbandonai al pianto, senza volerlo, perché mi sentivo ad un tratto piena di dolcezza. “E’ Natale” pensai. Ma io, quella notte, avvertii la presenza di Dio Bambino accanto a me.
Così ha raccontato Aldina.
Da “I Racconti di Natale” di Nene Ferrandi
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano