Strage di cristiani in preghiera nelle Filippine

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Milano 28 Dicembre – Cristiani massacrati a Natale mentre pregavano in chiesa, o erano al lavoro nei campi di grano. Quattordici morti. È questo il bilancio della strage nelle Filippine per mano di un gruppo di jihadisti vicini all’Isis. E l’ira di Papa Francesco si è fatta subito sentire. «Preghiamo per i cristiani che sono perseguitati, spesso con il silenzio vergognoso di tanti» è il tweet inviato da Bergoglio nel giorno di Santo Stefano, festa del primo martire cristiano, e simbolo purtroppo ancora terribilmente attuale. Sul massacro sull’isola di Mindanao, nel sud delle Filippine, la firma di un un gruppo di islamisti, i Combattenti islamici per la libertà Bangsamoro, entrati in azione tra la vigilia e il giorno di Natale. In 200 hanno lanciato almeno otto attacchi, in cui sono morti anche cinque terroristi. In un attacco nella provincia di Maguindanao sono stati uccisi cinque agricoltori. Nel vicino villaggio di Esperanza, nella provincia di Sultan Kundarat, i terroristi hanno preso in ostaggio una famiglia e poi hanno lasciato fuggire una madre con il figlio ma hanno ucciso tre uomini. Due cristiani sono morti dopo che il lancio di una granata contro la cappella di una chiesa nella provincia di Nord Cotabato. «Sono purtroppo tantissimi» i cristiani che nel nostro tempo «subiscono persecuzioni in nome della fede come santo Stefano» ha detto Papa Francesco all’Angelus, ricordando la figura del primo martire, Santo Stefano, del quale ha sottolineato nella catechesi la capacità di perdonare i suoi assassini proprio come aveva fatto Gesù poco prima di lui. «La Vergine – ha invocato il Pontefice – orienti la nostra preghiera a ricevere e donare il perdono». Nell’Anno Santo della Misericordia, Papa Francesco ha voluto contestualizzare la sua catechesi sul primo martire su «un aspetto particolare che avvicina Santo Stefano al Signore: il suo perdono prima di morire lapidato». «Inchiodato sulla croce, Gesù – ha ricordato Francesco – aveva detto: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”; in modo simile Stefano «piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”!». «Stefano – ha commentato il Papa nel breve intervento che ha preceduto l’Angelus – è dunque martire, che significa testimone, perché fa come Gesù; è infatti vero testimone chi si comporta come Lui: chi prega, chi ama, chi dona, ma soprattutto chi perdona, perché il perdono, come dice la parola stessa, è l’espressione più alta del dono». Partendo da queste considerazioni, Francesco ha poi risposto a una domanda che forse molti si pongono: «che cosa serve perdonare? È soltanto una buona azione o porta dei risultati?». Secondo il Papa, «proprio nel martirio di Stefano troviamo una risposta» perché questo fatto triste contribuì alla conversione di San Paolo. Infatti «tra quelli per i quali egli implorò il perdono c’era un giovane di nome Saulo; costui perseguitava la Chiesa e cercava di distruggerla. Saulo divenne poco dopo Paolo, il grande santo, l’apostolo delle genti. Aveva ricevuto il perdono di Stefano». Allora, ha concluso il Pontefice, «possiamo dire che Paolo nasce dalla grazia di Dio e dal perdono di Stefano». A Natale, invece, prima di impartire la benedizione natalizia Urbi et Orbi dalla loggia centrale di San Pietro, il Papa aveva affrontato in un messaggio diversi temi “caldi”, dai conflitti in Medio Oriente e in Siria e i tanti altri sparsi nel mondo, alle stragi terroristiche e alle «atrocità» dell’Isis, dalle sofferenze dei migranti, dei bambini soldato, delle vittime della tratta, alle difficoltà di chi non ha lavoro.

Grazia Maria Coletti (Il Tempo)

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