Milano 30 Dicembre – Un giorno chi scriverà la storia della rivoluzione renzista dovrà ricostruire con cura gli avvenimenti di venerdì 18 dicembre 2015 a Roma, nelle stanze di Palazzo Chigi. Se stiamo alle cronache dei giornali, in apparenza non è successo nulla. Il capo di un governo, nel nostro caso Matteo Renzi, aveva un problema: salvare la poltrona a uno dei suoi ministri. Finito nel tritatutto mediatico per una faccenda quasi banale di questi tempi: i guai di una banca di provincia che sembrano coinvolgere anche il padre del ministro. Sto parlando di Maria Elena Boschi, 34 anni, dunque poco più che una ragazza, con un incarico di estrema importanza, le Riforme costituzionali. Contro di lei c’ era una mozione di sfiducia, senza alcuna possibilità di prevalere. Renzi sapeva di avere dalla sua la grande maggioranza dei deputati. E ha salvato la ministra. Tutto qui.
Che cosa dovrà spiegare lo storico futuro? Prima di tutto che il 18 dicembre, giorno di santa Scarabola, quella delle missioni impossibili, Renzi ha dimostrato di essere un vincitore che non perde mai. Ha distrutto un ministro con l’ aria di salvarlo. Nell’ immaginario degli elettori, la Boschi verrà considerata soltanto una figlia di papà, condannata a giurare che il genitore è una persona perbene, come di solito sono i padri per le figlie. La sua autorità finirà sotto terra. E scommetto che Renzi si libererà della ragazza non appena avrà accertato che non gli serve più. Il premier ha dimostrato da tempo di aver cura di un’ unica persona: se stesso. I politici che pensano soltanto al potere sono fatti così. Chi conosce la storia di un signore che si chiamava Benito Mussolini o di un mister più pacifico, Silvio Berlusconi, sa che la regola numero uno è disfarsi di un sottoposto che può creare problemi. Il leader del fascismo, per alleggerire la pressione del delitto Matteotti, mandò al macello Aldo Finzi che di fatto era il ministro dell’ Interno.
Nella prima fase della sua ascesa, l’ assalto al potere, Renzi ha mostrato la stessa freddezza. Voleva agguantare il governo dell’ Italia e sapeva come fare. Il modello da imitare era quello dell’ inglese Tony Blair che prima conquistò il Partito laburista, lo cambiò da cima a fondo, svecchiandolo, infine andò al comando del paese. «Questo sarà il mio percorso» spiegò Matteo nell’ estate del 2013. E mantenne la parola.
Mettendo in mostra una spregiudicatezza senza pari. Diventato segretario del Partito democratico, si liberò del premier in carica. Dopo aver detto a Enrico Letta: «Stai sereno. Ti difenderò io».
Il tradimento è alla base della seconda fase del renzismo, quella imperiale, nel senso della costruzione di un piccolo impero. Attuata senza incontrare nessun ostacolo. Palazzo Chigi è una fortezza che ti consente di decidere qualunque nefandezza. Soprattutto se nessuno si oppone. La vecchia sinistra, rappresentata da un politico esangue come Pier Luigi Bersani, non ha mosso un dito per salvarsi dal Rottamatore. E oggi non esiste più.
Del resto era fatale che andasse così. I post comunisti hanno perduto per strada anche il ricordo del cinismo cattivo del vecchio Pci. Si sono offerti inermi al boia pronto a eliminarli. Per di più Renzi si è dimostrato un boia perfetto. Duro, arrogante, una carogna pronta a tutto pur di arrivare dove aveva deciso. Abbiamo un pontefice come Francesco che predica la misericordia. Un sentimento che Matteo non conosce. Chi non si inchina davanti a lui è morto. Infatti il suo impero è lastricato di carriere distrutte.
Italiani di carattere che rifiutavano di diventare servi del nuovo imperatore.
Tuttavia anche le costruzioni più ciniche a volte presentano degli imprevisti. I giornali di opposizione stanno scoprendo gli intrecci tra famiglie che, in un modo o nell’ altro, fanno capo a Renzi. Si va costruendo una casta ben più forte di quella dei vecchi partiti. Fondata su una legge che non lascia scampo: chi non è con me, è contro di me. In passato anch’ io ho scritto articoli furenti sulla lottizzazione partitica del potere pubblico e degli enti che lo raffiguravano: la Rai, l’ Iri, le grandi società partecipate dallo Stato, i quotidiani di proprietà statale. Ma la spartizione tra le parrocchie politiche più importanti era meno spietata della lex renziana.
Fondata sul principio che il premier ha il diritto di prendersi tutto. E chi non è al suo servizio peste lo colga.
Ma nessun imperatore è in grado di scansare le sorprese cattive che la storia presenta.
E qui siamo alla terza fase del renzismo: la paura. Ho ascoltato il discorso del premier alla Leopolda. E mi ha colpito il suo modo di muoversi e di parlare. Si sbracciava, urlava, dava fuori di matto, accusava mezzo mondo di tramare contro di lui, minacciava con violenza i media avversari, messi all’ indice. L’ esperienza mi ha insegnato che un leader si comporta così soltanto quando arriva la burrasca. Matteo si sente alle corde? Forse sì. Quali sono gli incubi del capo renzista? È facile immaginarli. Il primo è che il suo fatturato elettorale si sta riducendo. Il 40,8 per cento delle elezioni europee è ormai una chimera. Il competitore numero uno, il Movimento Cinque Stelle, si sta avvicinando. Pare sia a soli due punti dal Pd. La blindatura dell’ Italicum potrebbe rivelarsi una trappola o un boomerang, parola che Matteo ama molto quando la può scagliare contro Beppe Grillo. La crisi economica non è ancora risolta. Le promesse non mantenute si rivelano un cappio sempre più robusto. Gli scandali hanno cominciato a bussare alla porta di Palazzo Chigi.
Che cosa facevano i vecchi dittatori quando si rendevano conto di trovarsi nei pasticci? Decidevano una guerra.
Da autentico avventurista, Renzi ha aperto le ostilità contro la Germania. Sembra che dietro la mossa ci sia una questione di gasdotti. Ma nell’ opinione pubblica, il soggetto che più interessa a Matteo, si fa strada una crescente impressione di debolezza.
Non siamo affatto il primo paese dell’ Europa, come sir Matteo si affanna a ripetere ogni giorno. Ci troviamo alle prese con una quantità di problemi che Renzi non sa o non può risolvere. Esistono quelli che ci affliggono da tempo, come la crisi economica, la burocrazia asfissiante, la corruzione, l’ evasione fiscale. Il premier insiste nel dire che sono eredità dei governi passati. Ma a Palazzo Chigi oggi ci sta lui. Ed è a lui che gli italiani scontenti la faranno pagare.
Infine a giocare contro il governo renzista c’ è la situazione esterna. L’ alto numero di migranti che continuano ad arrivare in casa nostra. Il grande pericolo del Califfato nero. Il suo insediamento in Libia, a pochi chilometri dall’ Italia. La necessità di un intervento che vedrà anche noi in prima linea. Costretti a combattere con truppe di terra, una circostanza che al momento della conquista di Palazzo Chigi il premier era ben lontano dal prevedere. E infine l’ incognita di un attentato in una grande città italiana, per esempio la Roma del Giubileo.
Giampaolo Pansa (Liberoquotidiano)
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